Le donne si difendono con protezione e istruzione

La disperazione al femminile è un girone infernale, la paura per chi subisce violenza è di non essere ascoltata con la soggettiva consapevolezza di valere meno di niente.

Le testimonianze più drammatiche ci arrivano dal Sinai, lì la situazione è orribile. Le donne che sono in mano ai beduini vengono violentate da due a cinque volte al giorno, quando le liberano sono perse, occhi lucidi che annaspano nel nulla, senza più fiducia in chi vorrebbe aiutarle perché in primis non credono in se stesse. Annientate nel corpo e nella mente. La paura diventa un mostro da cui non si riesce a scappare, si può ripresentare dopo anni, basta un rumore nella notte per far ricordare le catene, le frustate, i sacchetti di plastica bruciati e fatti colare sulla schiena.

Spesso ragazze madri che rifiutano i figli e tante che hanno contratto l’Hiv. Alcune di queste donne, dopo i soprusi subiti, perdono la cognizione del tempo e dello spazio, navigano nel vuoto, spente, smarrite… altre compiono atti di autolesionismo.

In Benin e in Costa d’Avorio, sono stati creati dei centri specifici per le donne maltrattate. A poco a poco sono riuscite a rimettersi in piedi per sostenere i loro figli anche motivate dalla volontà di sottrarsi al mondo della prostituzione e della schiavitù cui vengono costrette specialmente coloro arrivate attraverso la Libia.

Ci vorrebbe Dante per scrivere questo girone infernale sulla disperazione femminile.

Alganesh Fessaha, medico italoeritrea, dodici anni fa inventò i primi corridoi umanitari dal Sinai alla Somalia, ed ha visto passare davanti ai suoi occhi tutta la sofferenza mai immaginata, da donna a donna.

Il punto cruciale è che le donne devono imparare a parlare, a denunciare rompendo l’omertà. In Italia ci dovrebbero essere dei centri di ascolto sempre aperti e in grado di attivare subito una rete di protezione. E all’estero, anche nei Paesi poveri, ci deve essere un’educazione fra le donne perché non accettino questi abusi: la paura è di non essere ascoltate. Si devono dare delle garanzie: centri di ascolto e di accoglienza dappertutto, altrimenti è inutile parlarne.

La pandemia poi ha peggiorato questa realtà. Prima di allora le donne lavoravano ma con il lockdown, vivendo insieme a uomini disoccupati e costretti a rimanere a casa 24 ore al giorno, le violenze e l’aggressività sono aumentate a dismisura. Gli stessi volontari spesso si sentono impotenti.

Alganesh Fessaha continua a sostenere che per prima cosa occorre inserire le donne nella società in modo dignitoso. Poi, solo poi si può e si deve creare una protezione reale ma è fondamentale che ci sia un’istruzione capillare: la donna deve essere parte attiva della società e deve avere autostima e consapevolezza del suo valore.

Un sufi turco diceva: ”dovunque nel mondo si versi la lacrima di una donna, quel Paese non progredirà mai”.

Una saggezza vera e propria, parole da leggere e fare nostre, racconti come questo che si trasformano in immagini vivide, come scene di un film, il fermo immagine di una realtà deformata e terribilmente devastante in cui, sia pure solo per un attimo, ci si chiede se questi aguzzini abbiano mai avuto un’anima e cosa abbia spinto loro a disfarsene per fare così tanto male.

E allora veniamo ad una strategia per permettere a tutte le donne di sollevare la testa e far valere i propri diritti. Sempre. In qualsiasi parte del mondo.

E si. L’istruzione, la conoscenza, il pensiero critico sono forse il punto di partenza per poi costruire tutto il resto e iniziare a vivere in modo dignitoso.

Non si tratta quasi mai di un ritorno alla normalità ma della scoperta di un mondo nuovo mai conosciuto prima, di una libertà mai potuta assaporare neanche in quei sogni mai fatti.

di Stefania Lastoria

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