Storia di virus e di vaccini

La storia è maestra di vita… quando la conosci. 

E allora, di fronte ai tanti dubbi, più o meno legittimi, e alle tante domande su questo nuovo virus, è il caso di dare un’occhiata alla storia. Ci sono infatti non pochi precedenti di virus nuovi e nuove pandemie che il genere umano ha dovuto affrontare nel corso degli ultimi tre millenni, cioè proprio da quando la storia esiste.

Il caso del vaiolo è tra i più emblematici. 

Sembra sia comparso circa tremila anni fa: prima la malattia non c’era, l’umanità viveva più libera e serena. Il virus sarebbe nato (né più né meno come l’attuale SARS-COV 2) per il salto di specie di un virus precedentemente innocuo: dal gerbillo (un simpatico roditore del deserto) all’uomo. Quindi si è insediato nell’antico Egitto (vi sono le stimmate del vaiolo in alcune mummie) ed in India, cominciando a mietere vite umane. 

L’Europa ne fu immune per i primi millenni: nessuna fonte storica greca o romana fa cenno della nuova malattia, che non è segnalata nella medicina ippocratica. Il vaiolo avrebbe fatto una comparsa drammatica ma transitoria nell’impero romano sotto forma di “peste antonina” nel II secolo d. C., probabilmente portato dalle legioni di ritorno da una campagna contro i Parti.

E poi dicono che le guerre non sono dannose! 

Si è infine insediato definitivamente nel nostro continente durante le crociate, con quel gran via vai di navi e soldati tra Europa e medio oriente, per poi restare endemico fino alla metà del XX secolo. 

Una storia non dissimile è quella del morbillo. L’intera umanità ne è stata esente fino al VI secolo della nostra era e, anche in questo caso, la malattia è nata da un salto di specie del virus: dai bovini all’uomo. 

Queste due vicende (e non sono le uniche nella storia della medicina) dimostrano che il salto di specie esiste ed è stato normalmente usato dai virus per diffondersi. Non c’è nessun bisogno dei moderni laboratori: i virus ci pensano da soli a trovare nuovi percorsi e nuove vittime in specie diverse, e lo hanno già fatto più volte; anzi, sono bravissimi in questo gioco.

Anche la “spagnola”, che ha fatto da 50 a 100 milioni di morti circa un secolo fa quando la popolazione mondiale non superava i due miliardi, è nata dalla mutazione spontanea di un virus influenzale, avvenuta negli USA; ha poi viaggiato con le truppe americane inviate in Europa per combattere la grande guerra, e si è rapidamente diffusa in tutto il mondo. Ancora virus e guerra: un binomio micidiale. 

È inutile ribadirlo, neanche a quei tempi esistevano i laboratori di virologia. Anzi, i virus non si sapeva cosa fossero, se non ipotetici agenti filtrabili. La stessa idea di DNA e RNA era di là da venire. 

Con buona pace dei negazionisti e dei complottisti, la storia ci insegna che i virus cambiano e si rinnovano, creando nuove malattie prima inesistenti, senza l’aiuto dei nostri laboratori. Periodicamente nascono nuovi virus e malattie nuove, che si diffondono nel mondo più o meno velocemente a seconda delle loro caratteristiche e delle possibilità materiali che noi umani gli offriamo. 

La storia, a conoscerla, ci dice che siamo dipendenti dalla natura e dai suoi capricci. In fondo, i complottisti sono solo dei presuntuosi che pretendono che un nuovo virus debba essere per forza una nostra creatura. Invece no, nasce e si diffonde nostro malgrado, a prescindere dalla nostra volontà e dalla nostra cattiveria.    

Ma questa conclusione ha due conseguenze. La prima è che dobbiamo essere pronti ad affrontare questi ciclici eventi, sia dal punto di vista organizzativo che strutturale. Magari con un “piano” concreto e aggiornato? Con una scorta di presidi e attrezzature sanitarie? Con dei reparti dormienti, attivabili in caso di emergenza? 

La seconda riguarda i fattori favorenti. Per esempio, l’inquinamento da polveri sottili favorisce la diffusione per via aerea dei virus: sarà un caso che la Lombardia, dove così drammatica è stata la diffusione della malattia, è una delle aree più inquinate d’Europa? E che valori simili a quelli lombardi si riscontrano nella regione cinese di Wuhan? Similmente, l’epidemia di colera del 1973, diffusasi in molti Paesi del mondo – Italia compresa – fu possibile grazie all’inquinamento delle acque a all’importazione di mitili non controllati. L’aumento della popolazione di ratti nelle grandi città (legato, tra l’altro, all’aumento della temperatura media) è considerato un fattore di rischio per la diffusione della peste: l’ultima epidemia di questa malattia dal sapore medievale nel mondo industrializzato si è verificata nel 1925 a Los Angeles, dove già circolavano le automobili e si affermava la moderna industria cinematografica. Ma tutte le metropoli del mondo sono popolate di enormi colonie di ratti e sono da considerare a rischio di peste. 

In conclusione, non sono poche le situazioni ambientali, locali o planetarie, che favoriscono l’insorgenza e la diffusione di malattie epidemiche.

Certo, se si pensa che le epidemie siano causate da un complotto, non c’è bisogno di prevenirne le cause naturali né serve curare l’ambiente in cui viviamo. Così, l’ipotesi complottista è in realtà un ottimo pretesto per non fare niente e per tenersi i ratti, l’inquinamento, i mercati di animali selvatic vivi e, ovviamente, il rischio.

Il vaiolo, si diceva, è stata una malattia davvero terribile. Non solo per l’elevata mortalità, che falcidiò intere generazioni nelle fasi di maggior recrudescenza, ma anche perché i sopravvissuti ne portavano per sempre le stimmate, sotto forma di deturpanti cicatrici del volto, cecità o altre menomazioni permanenti. Per il terrore che infondeva, l’umanità ha sempre cercato di combatterlo, anche a costo di rischi non trascurabili. Nell’India di duemila e passa anni fa si effettuava la “variolizzazione”: il soggetto sano inalava una polvere ottenuta dalle lesioni cutanee di un malato guarito da una forma più benigna di malattia. Sembra incredibile, ma funzionava: si otteneva l’immunizzazione (pur senza sapere nulla di anticorpi e linfociti) causando la malattia in forma lieve. Moriva circa l’1% dei “variolizzati”, ma se ne salvavano a migliaia: che non è un pessimo risultato, data l’epoca. Il metodo fu usato anche in Cina per molti secoli, per poi passare all’impero ottomano in epoche meno lontane, ed essere tentato nell’Inghilterra del ‘700. 

Finalmente, Edward Jenner osservò che alcuni allevatori di bestiame contraevano una malattia somigliante al vaiolo, da cui guarivano facilmente, restando però immuni dal vaiolo stesso. Poiché portato dalle mucche, quel “male minore” era detto “vaccino”: e noi ancora così chiamiamo i preparati che conferiscono l’immunità da un virus. Rispetto alla variolizzazione era un notevole passo avanti, pur essendo entrambe le pratiche basate sullo stesso principio: ottenere l’immunità provocando una malattia meno grave. 

E questo concetto ci porta, sempre con l’aiuto della storia, a meglio capire che cos’è un vaccino: è un mezzo per ottenere l’immunità attraverso una malattia più benigna di quella che si vuol prevenire. Quindi un vaccino non agisce come gli altri farmaci, anzi non dovrebbe proprio essere considerato un farmaco, perché ha un meccanismo d’azione completamente diverso.

Però funziona, quando funziona. Infatti, il vaiolo è stato completamente eliminato dalla faccia della terra. Non era mai accaduto prima che una malattia, semplicemente, non esistesse più: una conquista storica, di inestimabile valore, ottenuta con una campagna vaccinale capillarmente diffusa in tutto il mondo.

Come si diceva, il risultato è stato ottenuto provocando una malattia più lieve, ma pur sempre una malattia. Così, purtroppo, anche la vaccinazione anti vaiolosa ha avuto le sue, pur rare, vittime. A parte le complicanze non gravi, si stima che una o due persone per ogni milione di vaccinati siano morte, e che una ogni 300.000 abbia sviluppato un’encefalite post vaccinica. Un’inezia, dal punto di vista statistico; una tragedia per quelle persone e per i loro familiari. Ma basta vedere le foto delle piccole vittime del vaiolo ancora negli anni ‘60 per capire che non c’era scelta. Se oggi l’umanità non ha più paura del vaiolo, e se oggi nessuno si deve più vaccinare, lo dobbiamo anche alle vittime del vaccino, e dobbiamo ricordarle: ci sono state e l’oblio sarebbe un’offesa imperdonabile nei loro confronti.    

Per questo è odioso che qualche autorità sanitaria (per esempio qualche ministro) dica che i vaccini sono del tutto sicuri. Sì, è sicuro che abbiano degli effetti indesiderati. Ma ciò non toglie che i vaccini abbiano una grandissima utilità ed efficacia, e che l’effetto desiderato – estirpare una malattia grave e salvare milioni di vite umane – compensi quelli indesiderati, di gran lunga inferiori per numero.

Venendo ai vaccini in arrivo per la prevenzione del COVID 19, forse la prospettiva, alla luce della lunga (plurimillenaria) storia delle pratiche vaccinali, è ora più chiara. I vaccini servono, e devono essere guardati con realistico rispetto.

Ora è necessario fare una scelta sia personale che civile. È meglio morire di COVID o accettare il rischio, enormemente minore, del vaccino? Vogliamo che questa malattia sia eradicata dal mondo per sempre come il vaiolo o preferiamo tenercela? Vogliamo che la vita sociale e affettiva riprenda, o preferiamo restare confinati in casa? Vogliamo che i nostri figli tornino a scuola o ci sta bene l’incerta situazione attuale? Vogliamo una ripresa economica o preferiamo lamentarci dei sussidi che comunque presto finiranno? Vogliamo che figli, nipoti e pronipoti si accollino un ulteriore debito pubblico (si chiama così ma, alla fine della fiera, lo pagano solo i privati cittadini) che sarà la palla al piede del Paese per i prossimi cento anni? 

Poiché il vaccino non sarà obbligatorio, questa scelta sta a noi ed è anche una scelta di civiltà e di altruismo: non sarà solo per proteggere sé stessi. 

È giusto, perciò, sapere qualcosa sui rischi e benefici di questi nuovi vaccini.

La mia impressione è che, proprio per le metodiche innovative che sono state adottate, siano meno pericolosi dei vaccini tradizionali. Direi che finalmente non provocano una malattia, per dare immunità. Oggi la ricerca, iniziata negli scorsi anni per SARS e MERS (le altre due gravi malattie da coronavirus), consente di riprodurre alcuni antigeni della capsula virale, senza dover iniettare il virus e neppure manipolarlo. Un bel passo avanti rispetto all’antica variolizzazione ed alla vecchia vaccinazione di Jenner. Il non dover più usare un virus, ma una sua parte innocua (la famosa proteina spike, o la sequenza di RNA necessaria a fabbricarla) serve a ridurre il rischio di complicanze vaccinali. Probabilmente, questo vaccino ha il rapporto rischio-beneficio migliore della storia.

In questi tempi iperconnessi, abbiamo visto una marea di disinformazione sul COVID, quindi non stupisce che lo stesso avvenga per i vaccini. In mancanza di solidi elementi di critica, viene presentato dai soliti pseudo scienziati come un tentativo di modificare il nostro corredo genetico. Ed è stupefacente verificare quanta gente ci creda. In realtà il pezzetto di RNA usato per ottenere la produzione della proteina spike non può modificare il nostro corredo genetico, come non può farlo il virus: è proprio materialmente impossibile, perché non è così che funziona. Ma sostenere cose impossibili è tipico della nostra epoca: c’è sempre un “fregno” che si alza e mette assurdità sui mezzi sociali di comunicazione, tanto c’è sempre qualche altro “fregno” che ci crede e le fa rimbalzare sul web. Magari anche in buona fede, per pura e beata ignoranza. D’altronde, leggere gli articoli scientifici sui vaccini (e capirci qualche cosa) non è, oggettivamente, alla portata di tutti; e poi richiede fatica e umiltà, e non ti fa sentire importante come riempirsi la bocca di paroloni come “transcriptasi inversa”, che nulla ha a che vedere né col COVID né col vaccino, ma fa tanto “scientifico”.  

Forse la diffidenza degli italiani nei confronti delle posizioni “ufficiali” della scienza e della politica hanno anche a che fare con alcuni atteggiamenti sospetti da parte di queste ultime.

Per esempio, il maldestro tentativo di costringere gli over 65 a vaccinarsi contro l’influenza per facilitare la lotta al covid19 (Stampacritica 31/5/20: Una pericolosa epidemia di vaccinazioni). O il gioco dei brevetti delle multinazionali del farmaco (Stampacritica 30/11/20: Vaccini multinazionali). O la propaganda contro l’omeopatia (Stampacritica 15/1/19: Scienza e pseudoscienza).

Ma vi sono anche strategie di disinformazione volutamente orchestrate per fini poco chiari. Per esempio, ho ricevuto il link di un sito (https://telegra.ph/ATTENZIONE—VACCINO-12-27) che mostra, con tanto di disegno tecnico, come i russi siano riusciti ad estrarre dal vaccino Pfizer il microchip che vi è nascosto e che viene subdolamente iniettato per controllare la nostra mente. Il diabolico marchingegno usa il calore del corpo come fonte di energia (ma da quando dei circuiti vanno a calore?) ed ha addirittura un regolatore automatico di bass e treble (sic!!) per adeguarsi alle frequenze cerebrali dei singoli individui. Il disegno tecnico è stato identificato da un esperto vero come il circuito di un amplificatore per chitarra elettrica: oltretutto è di dimensioni macroscopiche e mai potrebbe essere in alcun modo iniettato. Può sembrare impossibile, ma c’è chi ci crede e gira subito il link agli amici. 

A quanto pare, qualcuno ha interesse e si adopera per convincere la gente a non vaccinarsi. Ma neanche ai tempi della guerra fredda c’era tanto disprezzo, non dico della verità, ma della verosimiglianza di quel che si dice. 

Così la quotidianità oscura la storia, e almeno un terzo degli italiani diffida dei vaccini. Ma cosa diranno di noi i nostri posteri, sempre che riescano a nascere?

di Cesare Pirozzi             

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