Assalto al Campidoglio Social

Si è immediatamente scatenato un dibattito planetario sul caso dei profili di Trump bannati dai principali social. È stato giusto, ingiusto? La prima vera domanda, però, dovrebbe essere questa: perché lo hanno fatto? Quali le ragioni concrete, di sonante interesse strategico che hanno unanimemente spinto queste vere e proprie potenze sovranazionali a decretare – ancora prima del Congresso – l’impeachment, in versione digitale, di un presidente americano ufficialmente ancora in carica. Bio-potenze extranazionali di tali dimensioni, infatti, sono inevitabilmente mosse soprattutto da motivi extra morali. Se Trump ha una settantina di milioni di voti e anche una decina in più di follower, Facebook, Twitter, Google, Amazon – a partire dal maggiore, Fb – hanno dai 2 miliardi e mezzo, al miliardo e mezzo, al miliardo, ecc., di user, utenti che spontaneamente ogni istante consegnano (ossia: noi tutti consegniamo) loro i dati bio-psichici più intimi. È il famoso uomo con una pistola di Sergio Leone che incontra uno, più che con un fucile, con un cannone atomico. Interessi e mire ulteriormente espansive che scavalcano qualsiasi confine nazionale e continentale. Ad esempio – ne parlavamo in questa rubrica già a luglio del 2019 –, la criptomoneta di Fb – chiamata inizialmente Lybra, ribattezzata ora Novi – che dovrebbe essere varata proprio quest’anno da Zuckerberg. A essa si era fermamente opposto in America proprio Trump, in sintonia, in questo, con quasi tutti i leader e banchieri centrali europei.

E proprio tra le due sponde dell’Oceano si sta giocando una partita cruciale. L’Europa, infatti, ha elaborato due proposte, le quali – quando passeranno e saranno adottate nei singoli Stati membri – non si limitano più alle solite vane giaculatorie e auspici, ma prevedono multe fino al 10% del fatturato globale dei Big Tech. Sono il Digital Services Act (DSA) e il Digital Markets Act (DMA). Il primo riguarda contenuti e inserzioni pubblicitarie sui social; il secondo a garantire le condizioni di acquisto e pagamento più eque e trasparenti per le compravendite in rete. Nel primo caso, pur non volendo la Commissione Europea addossare direttamente alle piattaforme la responsabilità di violazioni, ne impone la rimozione immediata, pena pesanti sanzioni economiche. Il secondo punta a una completa pulizia dei termini di scambio e alla non imposizione di condizioni forzosamente obbliganti, tipo il pagamento on-line tramite gli strumenti della stessa piattaforma, e anche la possibilità di disinstallare software nativi, ossia già preinstallati originariamente nei device come le app. Questo per limitare la posizione dominante soprattutto di aziende con 6,5€ miliardi di fatturato annuo, o 65€ miliardi di capitalizzazione. C’è poi il capitolo delle tasse evase per gli immani profitti realizzati da questi colossi sul suolo europeo.

Scontro tanto cruciale quanto complicato, perché la maggiore apparente sintonia politico-ideologica della Ue con la nuova amministrazione Biden, sembra non coincidere con quella sui social media e altro. Lo si è immediatamente visto dalla levata di scudi di intellettuali e leader politici europei contro la censura comminata a Trump dai Big Tech. Infrazione problematica al diritto fondamentale alla libertà di espressione, l’ha definita Angela Merkel. E Bruno Le Maire, ministro francese delle Finanze, ha dichiarato trattarsi di un’oligarchia digitale che si arroga diritti che spettano invece solo al popolo sovrano. Persino Alexej Naval’nyi, oppositore numero uno di Vladimir Putin, si schiera a fianco di Trump, ossia di uno degli amici internazionali oggettivamente strategico per il presidente russo, qualificando quello contro di lui come atto di censura inaccettabile. La scogliera che sembra alzarsi tra le due sponde oceaniche è resa ancora più scabrosa e aguzza, dal patto di fine anno con la Cina, concluso di fretta il 30 dicembre proprio dalla Merkel, a nome della presidenza di turno europea della Germania. Per il neo presidente Biden, che voleva riallacciare i rapporti con l’Europa, soprattutto come alleanza contro l’espansione cinese, non è per niente una buona novella. Sembra che l’Europa voglia approfittare del muro eretto da Trump per rimarcare la propria autonomia economica, politica e strategica dallo Zio Sam, indipendentemente da chi lo guida. D’altronde la diffidenza dei cittadini europei nei confronti degli Usa è sensibilmente cresciuta nei rampanti anni trumpiani.

Da una parte, quindi, i Big Tech hanno necessità di schierarsi decisamente con la nuova amministrazione democratica. Appoggiarla per appoggiarsi, con maggiore sicurezza che con The Donald, per contrastare le misure regolatrici, ma anche fiscali europee. Dimostrando che esse sono già capaci per proprio conto di ripulirsi da spinte d’odio, violenza e illegalità. D’altronde il primo candidato presidente a elevare i social a grande strumento politico-elettorale non è stato Trump, ma Obama. È stato il primo presidente Usa a essere eletto sulla scorta di una capillare, virale campagna social. E Kamala Harris, la vicepresidente di Biden, è molto considerata e benvoluta negli ambienti Big Tech. Nata a Oakland, in California, nel 1964, è stata eletta al senato grazie all’appoggio e alla raccolta fondi proprio della californiana Silicon Valley. Quando è stata nominata candidata vice presidente, la prima donna di colore a esserlo, ha ricevuto le congratulazioni della Direttrice Operativa di Fb, Sheryl Kara Sandberg.

Donald Trump è stato uno dei pochissimi presidenti Usa a non ingaggiare nessun guerra esterna. Sarà anche per questo che la conseguenza è stata quella di innescarne una interna potenzialmente gravida di sviluppi inquietanti. È in corso una tempesta nel virtuale-reale, dentro e fuori l’America, che sta già mietendo vittime e armando nuovi signori della guerra digitale. Trump ha annunciato che potrebbe finanziare una sua piattaforma social, attorno alla quale radunare tutte quelle della destra sovranista già esistenti. Siamo sull’orlo di una crisi di nervi che è al contempo sul ciglio di una guerra civile. Il prossimo assalto della marmaglia sarà direttamente al Campidoglio dei social. 

di Riccardo Tavani

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