Piersanti Mattarella, quarantuno anni dopo.

Palermo, sei gennaio 1980.

Quel giorno l’Italia ha perso uno statista di sicuro avvenire e la Sicilia ha perso il politico che con coraggio tentava di liberarla dall’ignominia della mafia.

Quel giorno io ho perso un maestro, un amico.

Ho perso il maestro, quando partecipai ai campi scuola nazionali della gioventù cattolica di Fiera di Primiero e di Passo Falzarego, da lui diretti.

Ho perso l’amico con cui avevo partecipato a momenti di formazione, come a Casa Alpina di Pragelato, o a iniziative di militanza come al liceo San Leone Magno e in borgata a Pietralata.

E con lui, più tardi, condivisi la scelta di una assoluta separazione tra Azione Cattolica e Democrazia Cristiana. Con questo fummo quindi vicini ai punti di vista più avanzati di Carlo Carretto e Mario Rossi, Presidenti della Gioventù Cattolica, forzatamente dimissionati dal filofascista Luigi Gedda Presidente dell’intera Azione Cattolica, anche se Piersanti visse quei momenti con molto equilibrio e spirito costruttivo.

Poi le strade si differenziarono. Piersanti si innamorò di una ragazza a Palermo che poi sposò e fu la sua compagna per tutta la vita, e scelse di andare là per continuare nella carriera universitaria (era assistente ordinario). Io ormai ero impegnato nei gruppi di estrema sinistra e il suo commento fu che, sia pure su sponde diverse, continuavamo a lavorare insieme per un’Italia migliore.

Quando partì, mi disse che non aveva intenzione di fare politica, ma che temeva che non sarebbe riuscito a sottrarsi.

E fu così. La Democrazia Cristiana di Aldo Moro, non collusa con la malavita organizzata, lo coinvolse. Piersanti chiese la tessera della Dc, che per un anno gli fu addirittura rifiutata dal partito locale! Poi, nel 1967, fu eletto deputato all’Assemblea regionale; nel 1971 fu assessore alla presidenza regionale con delega al Bilancio (in un solo colpo fece approvare otto rendiconti arretrati); infine, il 9 febbraio 1978, fu eletto Presidente della Regione con i voti di DC, Psi, Psdi, Pri, Pli; ma non solo, anche con la partecipazione del Pci.

Infine, due anni di presidenza esemplare, mai vista nella Regione, contro tutti i tentativi mafiosi di fermarne le iniziative, in un clima di omicidi, di intimidazione, di paura, che il Presidente comunicò al ministro dell’Interno. Ma inspiegabilmente (?) da parte del governo non ebbe nessuna attenzione, nessun aiuto. Ne riferì amareggiato alla famiglia.

Poi la fine, a Palermo, il 6 gennaio 1980.   

 Non mi è facile, dire altro. Ma c’è una cosa in particolare, che voglio ricordare, di Piersanti.

 Non ha mai voluto lavorare da solo. Da giovane, da cattolico credente e poi da politico, in tutto il periodo siciliano, si è sempre impegnato a crescere e fare crescere tutti i collaboratori per lavorare insieme per un mondo più giusto.

Ho ricordato sopra il suo prodigarsi nel mondo cattolico. Ma sento il bisogno di ricordare che lo stesso impegno ha voluto esprimerlo anche in Sicilia, creando il gruppo “Politica”, un punto di riferimento, con riunioni periodiche, per i giovani che si affacciavano alla vita pubblica, nei quali cercava di accendere l’impegno verso gli altri, tutti gli altri.

Non solo. Piersanti chiamava a discutere collegialmente, sulle diverse scelte che proponeva, tutte le persone più qualificate, di qualsiasi partito, di qualsiasi tendenza, per arrivare, insieme, ad una soluzione condivisa.

Un’ultima cosa, voglio    ricordare. Dopo   tanti anni, in sede giudiziaria siamo ancora alle tante ipotesi su mandanti, sicari, organizzazioni mafiose, neonaziste, politiche responsabili della uccisione di Piersanti.

Di questo delitto, il capo della loggia P2 (che di delitti sicuramente si intendeva) parlò come di un “delitto perfetto”.

E tra le ipotesi, ad esempio, Falcone pensò ad uno scenario eversivo che proiettava sul delitto Mattarella le ombre nere dell’intreccio occulto tra neofascisti, mafia e massoneria, un “ibrido connubio” che chiede ancora di essere illuminato, in particolare leggendo per massoneria la loggia di Gelli.

Ma tra le ipotesi si sono notate sempre difficoltà quando i giudici inquirenti hanno lavorato su politici (leggi Andreotti) o su servizi deviati, anche cancellando registrazioni telefoniche (leggi Napolitano).

Eppure, io credo a Nino Di Matteo, ex PM e componente del CSM, quando dice che è ancora possibile tentare di dare un nome al killer di Piersanti Mattarella.

Ma dopo quarantuno anni, credo che sia giusto dire che Piersanti avrebbe visto con grande gioia   l’elezione e la svolta sinodale di Francesco, e d’altra parte sono certo che per il pontefice  Piersanti sia un esempio per tutti gli uomini di buona volontà.

 E voglio ricordarlo con le parole dell’apostolo Paolo, che sono state messe a Palermo davanti alla sua casa:

HO COMBATTUTO LA BUONA BATTAGLIA,

HO TERMINATO LA CORSA

HO CONSERVATO LA FEDE.

di  Carlo Faloci

 

 

 

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