La collina che scaliamo

La cerimonia di insediamento del 46° Presidente degli Stati Uniti è  il primo segno tangibile del cambio di passo rispetto alla precedente amministrazione. Elementi comuni dell’evento sono stati la compostezza, la gentilezza e la forza del linguaggio e delle performance. Il livello più alto della parola che si fa voce per la politica si è raggiunto con la poesia della giovane Amanda Gorman. Non è la prima volta che un poeta viene chiamato a declamare i versi durante la cerimonia del giuramento del Presidente, ma questa volta la commozione e l’emozione davanti alla Poesia hanno attraversato i confini e gli oceani, l’argine dentro cui la Poesia viene troppo spesso confinata è stato spezzato da una ragazza nera di 22 anni, con il suo cappotto giallo e i suoi versi: Amanda Gorman.

C’è da dire che la poesia americana è spesso poesia civile; un modo, non sempre distillato, di trattare questioni attuali, una denuncia in versi di una società e di una politica allo sbando, di un sistema da smascherare.

Nella poesia “The Hill We climb”, costruita in maniera discorsiva ma con versi martellanti, la poetessa parla dell’America non come di una nazione che è arrivata in cima, non come un prodotto finito, ma come di un Paese che dovrebbe trovare una luce nella sua ombra infinita, un Paese che dovrebbe essere così coraggioso da vederla quella luce, coraggioso al punto di essere luce. Dentro i versi c’è la resistenza alla deriva di Trump e dei suoi seguaci e la consapevolezza delle problematiche che l’attuale Presidente dovrà affrontare: “..In qualche modo abbiamo resistito e siamo stati testimoni di come questa Nazione non sia spezzata, ma, semplicemente, incompiuta..” .  Come tutti i grandi poeti la giovane Amanda parla a se stessa parlando a tutti e viceversa; nella sua poesia c’è il sogno americano ma, al contrario di quello dei sostenitori del capitalismo sfrenato, per la Gorman quel sogno non si sostanzia nell’arrivare ad ottenere il massimo profitto:

“..Noi, gli eredi di un Paese e di un’epoca in cui una magra ragazza afroamericana, discendente da schiavi e cresciuta da una madre single, può sognare di diventare Presidente, per sorprendersi poi a recitare all’insediamento di un altro..” . Ma il sogno individuale diventa sogno collettivo per la poetessa e richiede una unità di scopo: “…Dare vita ad un Paese che sia devoto ad ogni cultura, colore, caratteristica e condizione sociale…”, i temi della disuguaglianza e della discriminazione sono alla base di tutto il lavoro della Gorman che si era già imposta negli Stati Uniti, ancor prima della laurea ad Harvard, come poetessa e attivista. Nella sua poesia non nasconde il passato, non si impone e non impone un codice del silenzio su quanto di spregevole è stato fatto, ma indica un cambio di direzione “…dentro questo orrore abbiamo trovato la forza di scrivere un nuovo capitolo..” e indica anche gli strumenti: “…se useremo la misericordia insieme al potere, e il potere insieme al diritto, allora l’amore sarà il solo lascito..”

Amanda Gorman ha fatto anche di più: ha letto i suoi versi interpretandoli con ogni cellula del suo esile corpo, calibrando ogni gesto, ogni intonazione della voce; ha mostrato al mondo la bellezza dell’oralità della poesia, il necessario bisogno di declamarla. E questo ha ancora più valore se si considera che la poetessa è stata affetta da balbuzie, proprio come il Presidente eletto.

C’è da auspicare che la visione politica della vittoria si conformi alla visione poetica: “..Se vorremo essere all’altezza del nostro tempo non dovremo cercare la vittoria nella lama di un’arma, ma nei ponti che avremo costruito. Questa è la promessa con la quale arrivare in una radura, questa è la collina da scalare..”

 

di Nicoletta Iommi

 

Print Friendly, PDF & Email