Per omicidi l’Italia è tra i Paesi più sicuri al mondo (tranne che per le donne)

Volendo cominciare con una buona notizia messa nero su bianco dall’Istat, è che l’Italia, sotto il punto di vista della criminalità e del numero di omicidi in rapporto alla popolazione, è tra i Paesi più sicuri al mondo e in Europa, superata nella Ue soltanto da tre piccole nazioni: Repubblica Ceca, Lussemburgo e Slovenia; gli altri 24 Paesi Ue – incluso il Regno Unito che nel 2019 ne faceva ancora parte – si collocano al di sotto nella classifica della sicurezza, chiusa dai tre Paesi baltici: Estonia, Lituania e Lettonia.

Eppure, nelle tinte decisamente incoraggianti della fotografia, c’è il solito alone ad adombrare quello che sembrava un raggio di speranza: riguarda le donne, come sempre le più penalizzate, quelle che subiscono minacce, le aggressioni, le violenze spesso da parte del proprio partner.

E così, volendo tornare a fare i conti nero su bianco, il rapporto Istat conferma il dato drammatico sui femminicidi nel nostro Paese: boom durante la pandemia, il 50% delle vittime sono di sesso femminile, uccise o in casa o da un partner, o da un ex geloso. Storie di cui sentiamo parlare troppo spesso e che purtroppo, nell’informazione mediatica, diamo ormai per scontate. Come se anche la nostra mente avesse immagazzinato un accumulo di dati in questa direzione, tanto da non destare più sorpresa o scalpore. Abilissimi nel passare oltre la notizia finché, come per tutte le cose, il problema non ci coinvolge personalmente.

E dunque tornando ai numeri, gli assassini di donne, solo nei primi sei mesi del 2020, sono stati pari al 45% del totale degli omicidi commessi, contro il 35% calcolato nello stesso periodo nel 2019. Ma tali omicidi hanno raggiunto il culmine del 50% durante il lockdown nei mesi di marzo e aprile 2020. Quando la chiusura forzata nelle case ha mandato in tilt i sottilissimi equilibri di tolleranza in persone già disturbate psicologicamente, in mariti, fidanzati, compagni che hanno sempre considerato la donna come una proprietà.
Una realtà già drammatica prima, è esplosa insieme al virus facendo emergere un disagio sociale da cui non possiamo più scappare, una cultura che va esaminata e “curata” con determinazione e pene decisamente più aspre per chi si macchia di simili reati.  

Perché ormai un dato è certo e inconfutabile: le donne vengono uccise principalmente in ambito affettivo/familiare e da parte di ex partner.

Un quadro che conferma l’allarme lanciato appena la settimana scorsa in Cassazione, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, quando dal bilancio sulla giustizia nel nostro Paese era emersa con forza la disparità di genere non solo in campo sociale ed economico, ma anche in quello delle violenze e dei soprusi.

E non a caso il report dell’Istat segnala che proprio nei procedimenti giudiziari crescono gli imputati per omicidio in «contesti relazionali».

Sarebbe necessario che proprio la giustizia prendesse contezza di questi dati e che si cominciasse a pensare a condanne più severe, dure, rigorose, esemplari perché troppo spesso gli aggressori ne escono indenni, con pene irrisorie, beffarde, irriverenti nei confronti delle vittime e della collettività tutta.

Perché la recita di un atto di dolore non può e non deve mai scansare una condanna pesante come un macigno.

di Stefania Lastoria

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