Condivisione dei beni è: cristianesimo allo stato puro

“Gli atti degli Apostoli raccontano che nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune e questo non è comunismo, è cristianesimo allo stato puro”. Con queste parole Papa Francesco, nell’omelia della messa celebrata nella domenica della Divina Misericordia, ha commentato la condivisione dei beni attuata dalla prima comunità cristiana. Questo è l’inizio dell’editoriale de L’Osservatore Romano di martedì 13 aprile 2021.

La condivisione, il primo gesto del cuore che ci rende umani, liberi, uguali. La condivisione ci rende Fratelli Tutti. Senza esclusione alcuna. Papa Francesco ne è talmente consapevole che continuamente accentua il richiamo su questo gesto, così semplice, così umile, ma difficile da attuare. La misericordia del dono, l’agire quotidiano condividendo, l’essere felici di condividere ci permette di esprimere il vero sentimento dell’essere cristiani. Condividere, ripete il Papa, non è comunismo, ma è cristianesimo può. Carlo Marx è nato nell’ ‘800, Gesù Cristo duemila anni fa. Fino ad oggi è stato insegnato un falso storico senza precedenti. Si è fatto credere che i comunisti non volevano la proprietà privata, volevo condividere tutto. Ma dalle Sacre Scritture emerge che Cristo, il Cristo morto in croce per salvarci, predicava la condivisione come elemento di fratellanza per sentirci tutti uguali.

Molte volte Papa Francesco è stato criticato per aver messo in discussione l’intoccabilità del diritto alla proprietà privata e le sue parole sono state associate al marxismo e al comunismo. Lo scorso 30 ottobre Francesco aveva detto  “Costruiamo la giustizia sociale sulla base del fatto che la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto e intoccabile  il diritto alla proprietà privata, e ha sottolineato sempre la funzione sociale di qualsiasi sua forma. Il diritto alla proprietà è un diritto secondario derivato dal diritto di cui tutti sono titolari, scaturito dalla destinazione universale dei beni creati. Non vi è giustizia sociale in grado di affrontare l’iniquità che presupponga la concentrazione di ricchezza”.

Le parole di Bergoglio, risuonano più forti delle campane, ma nel mondo della Santa  Chiesa Romana, non sono ascoltate, pochi le sentono queste “campane”, molti le criticano, per avidità, per interesse, per cupidigia, per incapacità di essere “umani” cioè di condividere e sentirsi cristiani allo stato puro. Papa Francesco, nelle sue encicliche ha sempre affrontato il tema del sociale, della povertà, dell’essere misericordiosi. L’ultima in Fratelli tutti, pubblicata il 4 ottobre 2020. In quella enciclica sono ricordate le prese di posizione contenute nelle encicliche sociali di Giovanni Paolo II (Papa Wojtyla) e di Paolo VI.

In Fratelli tutti, che è stata firmata sulla tomba del Poverello di Assisi, leggiamo: Di nuovo faccio mie e propongo a tutti alcune parole di San Giovanni Paolo II, la cui forza non è stata ancora compresa. “Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno… (Centesimus annus, 31)… Il principio dell’uso comune dei beni creati per tutti è il primo principio di tutto l’ordinamento sociale…(Laborem exercens) è un diritto naturale, originario è prioritario.

Il diritto alla proprietà privata, dice Francesco, si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società. Accade però frequentemente che i diritti secondari si pongono al di sopra di quelli prioritari e originari, privandoli di rilevanza pratica.

In pratica, Francesco ci fa capire che, nel mondo cattolico, i cristiani sono pochi o comunque non interessati al concetto della condivisione della proprietà come mezzo per soddisfare i bisogni primari degli oltre tre miliardi di poveri.

Anche nella enciclica Laudato si’ nel paragrafo 93 Francesco si richiama alle parole di Papa Wojtyla “Il principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni e, perciò, il diritto universale al loro uso, è una regola d’oro ! del comportamento sociale, e il primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale. La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata.

Con grande chiarezza ha spiegato che “ la Chiesa difende sì il legittimo diritto alla proprietà privata, ma insegna anche con maggior chiarezza che su ogni proprietà privata, grava sempre un’ipoteca sociale, perché i beni servano alla destinazione generale che Dio ha dato loro”. Pertanto afferma che “non è secondo il disegno di Dio gestire questo dono in modo tale che i suoi benefici siano a vantaggio soltanto di alcuni pochi”. Questo mette in seriamente in discussione le abitudini ingiuste di una parte dell’umanità.

Nella Costituzione apostolica Exsul familia del 1952 si richiama il principio della destinazione universale dei beni nell’ambito delle migrazioni. Papa Pacelli, scriveva che i movimenti migratori permettono la distribuzione più favorevole degli uomini sulla superficie terrestre; superficie che Dio creò e preparò per uso di tutti.

Poi nella Costituzione conciliare Gaudium et spes, del 1965, fu formulato con chiarezza il principio della destinazione universale dei beni: Dio ha destinato la terra è tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i beni creati devono equamente essere partecipati a tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità.

Due anni dopo, nel 1967, Paolo VI pubblica l’enciclica Populorum progressio affermando: se qualcuno, in possesso delle ricchezze che offre il mondo, vede il suo fratello nella necessità e chiude a lui le sue viscere, come potrebbe l’amore di Dio abitare in lui? Si sa con quale fermezza i padri della Chiesa hanno precisato quale debba essere l’atteggiamento di coloro che posseggono nei confronti di coloro che sono nel bisogno.

Sant’Ambrogio scrive che “non è del tuo avere che fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene . Poiché è quel che è dato in comune per l’uso di tutti, ciò che tu ti annetti. La terra è data a tutti, e non solamente ai ricchi”.

È come dire che la proprietà privata, scrive L’Osservatore Romano, non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario. In una parola, conclude Andrea Tornielli, il diritto di proprietà privata non deve mai esercitarsi a detrimento della utilità comune, secondo la dottrina dei padri della Chiesa.

La condivisione dei beni non è comunismo, ma è cristianesimo allo stato puro.

di Claudio Caldarelli

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