Il movimento del #MeToo arriva nei Balcani

Quando l’attrice serba Milena Radulović ha parlato pubblicamente degli abusi sessuali subiti da minorenne in una prestigiosa scuola di recitazione di Belgrado, non aveva idea che oltre alle espressioni di solidarietà la sua testimonianza avrebbe provocato una fortissima reazione: la nascita di un corrispettivo balcanico del movimento #MeToo. Pur considerando che nei Balcani occidentali non ci sono ancora né un vero e proprio dissenso organizzato né risposte realmente adeguate a pratiche comunemente accettate di violenza sessuale, il movimento, a poco più di un mese dalla nascita, non mostra segni di indebolimento.

Radulović raccontando la sua storia ha scioccato la Serbia e merita un plauso per essere stata disposta, dopo otto anni, a parlare pubblicamente dell’esperienza che la accomuna a molte altre studentesse della stessa scuola. Lo scorso gennaio a uno degli insegnanti, Miroslav Aleksić, sono stati mossi ben quindici capi d’imputazione dal procuratore capo di Belgrado: otto accuse di stupro e sette di molestia sessuale.

La prestigiosa scuola di recitazione è stata etichettata sui media come “la casa degli orrori”. Da questa denuncia e spinta liberatoria dell’attrice serba è emerso d’improvviso il sommerso, una vera e propria ondata di storie di molestie, violenze sessuali, soprusi, maltrattamenti hanno iniziato a moltiplicarsi sul web facendo emergere quanto la “casa degli orrori” sia ben lungi dall’essere un caso isolato nel panorama di Belgrado e del paese, quanto piuttosto una consuetudine ormai consolidata.

In risposta a tutto ciò, ben quattro attrici bosniache e studenti dell’Accademia delle Arti dello spettacolo di Sarajevo, hanno dato vita a un’iniziativa Facebook chiamata Nisam tražila (Non l’ho chiesto io).

L’idea era quella di raccogliere contributi anonimi, testimonianze di esperienze di molestie sessuali di donne e uomini che lavorano nel campo artistico ma in pochi giorni, decine di migliaia di persone estranee al mondo dello spettacolo hanno iniziato a raccontare storie individuali di abusi e violenze commessi anche in numerose istituzioni pubbliche, luoghi di lavoro, università. Il tutto dalla Croazia al Montenegro.

Un numero senza precedenti di testimonianze su questa tragica realtà.

Ne affiora il quadro di una società contraddistinta dalla mancanza di parità tra i sessi in cui l’abuso sessuale appare come qualcosa di normale, un retaggio culturale che si trascina dalla notte dei tempi, una sorta di abitudine o usanza ormai insita e ben radicata nella collettività.

Ma anche se le vittime parlano, le istituzioni tacciono. Non solo, non deve sorprendere la reazione corale di un’opinione pubblica abituata a pensar male, che preferisce non credere alle vittime ritenendo le loro denunce illegittime perché “tardive”. Questo tipo di atteggiamento non tiene conto del fatto che una vittima è in grado di fare una denuncia solo nel momento in cui si sente pronta e al sicuro, segnalare abusi o molestie sessuali è un processo

complesso per le persone che li hanno subiti, in particolar modo se il tutto è notevolmente complicato da leggi e protocolli obsoleti e inappropriati, a causa dei quali denunciare diventa un vero e proprio terno al lotto. Il secondo atto di una violenza di altro genere.

Il paradosso è che attualmente alcuni mezzi d’informazione locali stanno cercando di paragonare l’attuale dibattito sulle molestie sessuali alla pandemia di Coronavirus o al terremoto che più volte nell’ultimo anno ha colpito la Croazia. Ma non è possibile parlare della violenza sessuale come di una pandemia o di una catastrofe inaspettata. Sarà possibile parlarne in modo appropriato solo del momento in cui questa bomba ad orologeria esploderà.

Tarana Burke, che è stata la prima a usare la frase MeToo, non ne parla come di un momento, ma come di un movimento (”MeToo is a movement, not a moment”). È opportuno chiedersi dove dovrebbe trasferirsi nei Balcani questo movimento per non estinguersi non appena si sarà placato il vento dello scandalo e quando di conseguenza i giornalisti torneranno ad occuparsi d’altro.

Ma ad analizzare bene i fatti, per quanto si possa denunciare e sollevare polveroni mediatici tali da scuotere l’opinione pubblica, occorre insistere su una forte volontà politica, strumento principale perché si arrivi ad una soluzione sistematica del problema. La riflessione seguita alle azioni del movimento #MeToo mostra quanto sia dannoso questo modo di pensare che punisce i più deboli – chi osa parlare – e finisce per confermare il dominio dei potenti.

di Stefania Lastoria

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