L’ECCIDIO DEL PONTE DI FERRO

silviaSe vi capita di fare una passeggiata sul Ponte dell’Industria, ovvero quel ponte di ferro che collega i quartieri Ostiense e Marconi, non si può fare a meno di notare una lapide dal lato del Porto Fluviale, un monumento marmoreo con una scultura in bronzo che non può che attirare la nostra attenzione.

Vi sono dieci volti in bassorilievo, dieci donne dai lunghi colli stilizzati, qualcuna con i capelli lunghi e sciolti sulle spalle, qualcun’altra li ha invece raccolti, altre ancora sono state invece rappresentate con una bella capigliatura di riccioli corti. Dieci donne il cui sguardo non è rivolto a noi che sostiamo davanti alla lapide, le dieci donne non ci guardano, evitano di incrociare il nostro sguardo, noi siamo qui in basso, siamo solo quelli che passeggiano, in fondo in fondo siamo soltanto anonimi passeggiatori ignari di quale sia la loro storia.

Passiamo senza fermarci a riflettere con il giusto impegno, non ci poniamo domande scomode, ci limitiamo ad osservare i loro volti anonimi, sconosciuti, seri e tristi, dieci volti che a prima vista sembrano simili ma che, se si guarda bene, sono invece assai diversi fra di loro, sguardi che nascondono dieci vite diverse, dieci storie legate alla guerra, all’occupazione nazista, alla resistenza. Guardano il fiume come allora? Chissà.

No, a guardar bene, lo sguardo delle dieci donne è invece rivolto verso l’alto, guardano oltre, verso il cielo si direbbe, verso la vita eterna. Ci chiediamo chi sono queste dieci donne uccise dai nazisti il 7 aprile del 1944, quali sono i loro nomi, le loro storie, quali le loro colpe? Perché sono state giustiziate? La loro vita terrena è finita quel giorno, quella terribile mattina di aprile, dopo che, insieme ad un centinaio di persone protestavano davanti al Forno Tesei, preso d’assalto per ottenere una maggiore razione di pane e di farina. La storia dell’occupazione nazista di quegli anni terribili, ci viene narrata con abbondanza di particolari anche cinematograficamente, tanti i film del dopoguerra che ci illustrano i parecchi episodi legati alla guerra, tanti i racconti simili a questo,  delle atrocità subite e del malcontento dei cittadini romani.

 Si narra che in quei giorni, l’esercito nazista, nella persona del Generale Kurt Mӓlzer (lo stesso delle Fosse Ardeatine) aveva emanato un’ordinanza che riduceva la razione quotidiana di pane a soli 100 grammi, ecco perché i cittadini romani, ma soprattutto le mamme che dovevano provvedere a sfamare i loro bambini, reagirono protestando e assaltando i forni che rifornivano la popolazione. Un piccolo esercito di donne disperate che tentavano di portare a casa qualche grammo in più di pane per le loro famiglie, un esercito di mamme preoccupate che faceva la fila davanti ai panifici, cercando di far valere le proprie ragioni, una insurrezione silenziosa che i panificatori accoglievano senza resistenza, proprio perché capivano le motivazioni delle tante donne distrutte dalle tremende conseguenze della guerra, dalla fame e dalle dure regole dell’occupazione nazista.

All’ennesima ingiustizia, alla mancanza di cibo da dare ai figli, alla notizia che la razione già misera si sarebbe ulteriormente ridotta, avevano alzato la testa, pronte a combattere davanti al forno per qualche sacchetto di farina in più, per un pezzo di pane da portare a casa. Donne ferite nel loro orgoglio di madri, vessate dalle violenze dell’occupazione nazista e sconfortate dall’impotenza di poter cambiare le cose. Bastò una telefonata anonima per far accorrere le truppe tedesche che piombarono in zona, intrappolando i protestanti circondandoli con le camionette, con l’obiettivo di reprimere sul nascere ogni tentativo di ribellione e di resistenza.

Presero a caso dieci di loro, forse le dieci meno veloci, quelle che non avevano fatto in tempo a scappare dai soldati nazisti assetati di violenza, quelle che non avevano fatto in tempo a gettare via il pane o la farina presa al forno. Dieci donne colpevoli di aver tra le mani del pane, vennero arrestate e fatte sistemare lungo il ponte di ferro. Una lunga attesa seguì quell’operazione, con calma le donne vennero fatte appoggiare alla balaustra, di spalle, ben distanziate costrette a guardare il Tevere, il loro sguardo disperato rivolto verso il fiume. Attendevano terrorizzate che i soldati costringessero gli abitanti della zona a chiudere tutte le finestre che davano sul ponte, dai palazzi lì intorno, ogni finestra fu fatta serrare con la minaccia delle mitragliatrici. I minuti passavano lentamente, fu una lunga attesa, quella che furono costrette a sopportare le dieci donne immobili sul ponte. Ma poi, senza scampo e senza il minimo rimorso, una dopo l’altra vennero trucidate con un colpo di pistola alla testa.

Morirono così sul ponte di ferro, tra piccoli pezzi di pane bagnato dal loro sangue, i loro corpi furono lasciati sul ponte, sorvegliati a vista dai nazisti per essere di monito per quelli che ancora pensavano di ribellarsi. Solo a notte fonda, fu permesso ai familiari di raccogliere i loro corpi martoriati. La storia ci restituisce tutti i loro nomi, nomi che è certamente nostro dovere ricordare portando una mano sul cuore in onore del loro sacrificio:

CLORINDA FALSETTI, ITALIA FERRACCI, ELVIRA FERRANTE, EULALIA FIORENTINO, ELETTRA GIARDINI, ASSUNTA IZZI, SILVIA LOGGREOLO, ESPERIA PELLEGRINI, CONCETTA PIAZZA, ARIALDA PISTOLESI

Pace all’anima loro.

di Silvia Amadio

 

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