Rom e Sinti nella Resistenza: la brigata dei Leoni di Breda Solini

Gli ultimi degli ultimi sono loro, “gli zingari” che nessuno vuole vicino casa, scacciati sempre e ovunque, con infamia, eppure sono un popolo “bello”, dentro l’anima e fuori, negli occhi, nel colore della pelle, nei lineamenti, nei gesti e nella umanità che trasmettono. Gli ultimi degli ultimi, sempre dimenticati, dalla storia e dalle Isitutuzioni, dall’Italia e dall’Europa. Dimenticati e cancellati dal mondo. Ma c’erano, nella Resistenza italiana. I Rom e Sinti. La brigata dei leoni di Breda Solini, un battaglione attivo al confine tra l’Emilia e la Lombardia, completamente formato da Sinti e Rom.

Perseguitati tra i perseguitati, dimenticati tra i dimenticati. Le popolazioni romanì (Rom, Sinti, Manush e Kalé) usano un termine molto forte, significativo, per indicare quanto accaduto negli anni ’40 del novecento: Porrajmos e Samudaripen, grande divoramemto e tutti uccisi. Era l’11 settembre del 1940 quando le prefetture del Regno d’Italia ricevettero un telegramma del capo della polizia Arturo Bocchini:

“Rastrellamento di tutti gli zingari”, era l’ordine da eseguire ovunque nel minor tempo possibile. Le accuse erano inventate, false, pretestuose, ma quelle erano le leggi razziali, la vergogna, ancora oggi, dell’Italia. Comportamenti antinazionali, implicazioni in gravi reati, erano le ridicole accuse. Tutti tacevano. Tutti sapevano. Tutti tacevano. “Gli zingari” non sarebbero più stati un problema. L’indifferenza crudele, della Chiesa e del mondo politico liberale, erano la condanna senza appello, per un popolo di donne, bambini, vecchi e giovani, capaci di ballare e cantare guardandoti negli occhi, prendendoti per mano e farti sognare. Condannati al “Porrajmos” al “Samudaripen” dalla complicità di tutti coloro che sapevano e tacevano. Nell’aprile del 1941 il ministero dell’interno diede qualche indicazione sul loro internamento e campi di prigionia costruiti ovunque, in Abruzzo, in Sardegna, nelle isole Tremiti, in Toscana, in Emilia Romagna. Campi di morte per i bambini Rom e Sinti. Campi di morte per le donne Rom e Sinti. Campi di morte per un popolo senza colpe se non la razza. Era l’ultimo atto della politica fascista sulle popolazioni Rom e Sinti. Prima, tra il 1922 e il 1938, l’ordine era quello di respingere alle frontiere i nomadi stranieri ( la stessa politica di oggi della Lega e di Fratelli d’Italia, respingere). Poi, tra il 1938 e il 1940, inizia la pulizia etnica nelle regioni di confine e le deportazioni coatte in Sardegna. Sulle riviste del regime dai nomi significativi, “La difesa della razza” gli articoli erano incentrati sulla “pericolosità sociale degli zingari”. Con la circolare di Bocchini del 1940 la guerra alla “piaga zingara” arrivò ai rastrellamenti e alla reclusione. Dopo la liberazione, i sopravvissuti scoprono di aver perso tutto e non riceveranno nessun rimborso. Semplicemente nono sono mai esistiti, ancora oggi per molti aspetti la situazione è quasi analoga.

Dopo l’8 settembre del 1943, alcuni riuscirono a scappare dai campi dove erano rinchiusi e si unirono alla Resistenza.

Inizia così la storia dei Leoni di Breda Solini, completamente formato da Sinti e Rom fuggiti dal campo di concentramento di Prignano sulla Secchia, in provincia di Modena. Questa storia, la custodisce e la racconta Giacomo, “Gnugo” De Bar, Sinto, saltimbanco e cantastorie. Rastrellato e rinchiuso da bambino, nel 1940, ricorda suo nonno, Jean, contorsionista circense, e suo zio Rus, equilibrista. Di giorno si esibivano nelle piazze e di notte sabotavano i tedeschi. Giravano a bordo di un camion e si occupavano di recuperare armi che poi davano ai partigiani. Il nome di Leoni, l’avevano guadagnato sul campo, grazie ad un’azione in cui avevano disarmato una pattuglia del Reich. “ Eravamo entrati nel cuore della gente, anche perché usavamo la violenza il minimo necessario, racconta Gnugo, nel suo libro -Strada, Patria Sinta- fra noi Sinti non è mai esistita la volontà della guerra, l’istinto di uccidere un uomo solo perché è un nemico. Questo lo sapeva anche un fascista di Breda Solini, che durante la liberazione  si era barricato in casa con un arsenale di armi, minacciando di far saltare tutto: mi arrendo solo ai Leoni di Breda Solini. Così andato i miei, dice Gnugo, ai quali si arrese, ma venne poi preso in consegna dai partigiani”.

Nel 2018, l’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) diretto da Luigi Manconi, ha organizzato ad Agnone, in Molise, la prima commemorazione italiana della rivolta dello Zigeunerlager di Auschwitz, iniziata il 16 maggio 1944, quando quasi quattromila tra Rom e Sinti e Caminanti si ribellarono ai soldati tedeschi arrivati per sterminarli. La loro Resistenza durò fino ad agosto, quando le SS riuscirono a prevalere e massacrarono tutti quelli che avevano osato ribellarsi. In totale, si stima, “il grande divoramento” ha inghiottito 500 mila persone di etnia romanì in tutta Europa. L’inno dei Rom, “Gelem Gelem” canta così: Ho percorso lunghe strade, ho incontrato Rom felici. Una volta avevo una grande famiglia, la legione nera li ha uccisi”. Ancora oggi, Gelem Gelem, deve essere cantata da tutti noi, che sappiamo e non vogliamo tacere le discriminazioni quotidiane cui è sottoposto il popolo Rom.

di Claudio Caldarelli

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