La favola di Darboe, da Lampedusa alla Serie A

Quando Ebrima Darboe nasceva, a Bakoteh, in Gambia, la Roma era in testa alla classifica a +4 dalla Juventus. Era il 6 giugno 2001, i giallorossi arrivavano dal pareggio con il Milan, rete di Montella, e stavano preparando la trasferta di Napoli. Il 17 giugno è lontano pochi giorni. E con esso lo scudetto.

Non lo sa Ebrima, non lo può sapere. Eppure nel suo destino c’era il calcio. E c’era quella squadra, l’Italia, il giallo e il rosso. La sua storia inizia a Bakoteh, piccola cittadina a 15 chilometri dalla capitale Banjul e a 3 minuti dall’Oceano Atlantico. Tra Bakoteh e il destino di Ebrima, invece, ci sono un deserto e un mare, un barcone da prendere e un’isola ad accoglierlo.

“Lo chiamavamo Ibra. Non per Ibrahimovic, era più facile di Ebrima. Ma a lui riempiva di orgoglio essere chiamato come una star del calcio”. Racconta così Francesco Sponardi, che lo ha allenato a Rieti. Perché dal Gambia, Darboe, deve scappare quasi subito. Precisamente a 14 anni. “In quel momento ho iniziato un viaggio, lungo più di 5 mila chilometri. Praticamente 50 mila campi da calcio. Quando sono arrivato non ero da solo: avevo un pallone e con quello ho trovato un gruppo con cui condividere passione e talento”. Ebrima racconta così il suo viaggia della speranza, della vita. Dal Gambia alla Tunisia, passando per il deserto del Sahara prima di salire su un gommone. Uno dei tanti, un granello di sabbia, anzi, una goccia in questo Mar Mediterraneo di morte e di sogni. Questo salto nel vuoto Ebrima lo fa da solo, senza un parente, senza un genitore. Quando arriva a Lampedusa la sua etichetta è quella di “minore non accompagnato”, una categoria particolare, protetta, delicata.

Lo Sprar, il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, lo manda a Rieti, in un centro di accoglienza. “Alcuni ragazzi, di quelli che lo Stato ha mandato qui, erano venuti al campo, da noi, ci chiedevano di giocare – spiega il presidente della squadra Young Rieti, Massimo Masi – Sono andato a parlare con chi li gestiva, e abbiamo fatto un accordo, per farli venire da noi, nell’ambito dei progetti di integrazione. In tutto saranno stati una ventina di ragazzi, su 16-17 anni, ma non venivano tutti insieme: dovevano studiare, avevano corsi di italiano, geografia, alcuni corsi erano anche il pomeriggio. Alcuni si allenavano e basta, alcuni giocavano qualche partitella, anche perché tesserarli era complicatissimo”.

Ma su Darboe c’è da lavorare anche dal punto di vista fisico. Quando arriva in Italia, dopo le violenze subite in Libia e la fame patita durante la traversata, è magro, troppo magro. A Rieti inizia a mettere su un po’ di muscoli, poi nel 2017 arriva la chiamata della Roma. A Trigoria le mani di Alberto De Rossi, padre di Daniele e allenatore della squadra Primavera, lo plasmano: da attaccante a centrocampista offensivo. Ebrima si allena, corre contro il destino, corre verso il sogno di giocare a calcio. Ci vogliono due anni, tra documenti e permessi, per fare l’esordio, che avviene il 23 gennaio della scorsa stagione, a Bergamo. Contro l’Atalanta arriva una sconfitta, per Ebrima però è una vittoria enorme. Inizia a giocare con regolarità, entrando dalla panchina o direttamente titolare. A febbraio arriva il primo gol, contro il Chievo, in estate il primo ritiro con la squadra, sui monti del Trentino. Sette mese dopo, la grande chiamata. Paulo Fonseca, allenatore della Roma dei grandi, lo convoca per la sfida dell’Olimpico contro il Milan. “Uno dei giorni più belli della mia vita – ha scritto sui social il centrocampista – il mio viaggio è stato lungo e difficile ma vorrei ricordare a tutti di non mollare mai e di inseguire sempre i propri sogni”. Ma non è finita, il sogno ha ancora una pagina da scrivere. È domenica sera, 2 maggio. La Roma sta perdendo 2 a 0 contro la Sampdoria, il centrocampo non gira, tanto vale buttare nella mischia chi ha voglia di correre e di farsi vedere. Ebrima Darboe si alza per scaldarsi, il mister lo chiama, si toglie la pettorina ed entra. È l’83esimo minuto, la partita durerà solo altri 10 minuti. Bastano quelli per sognare.

La Roma, quando lo ha tesserato, si è impegnata a fargli proseguire il percorso scolastico. Ebrima vive a Trigoria, studia nel collage istituito dal club, ha nuovi amici. E ha deciso di dare l’esempio. Per questo quando African Spirit, progetto di moda e design che valorizza la contaminazione e l’incontro di stili e culture, lo chiama per fare da testimonial, non ci pensa due volte. Su di lui è stata sviluppata una collezione i cui fondi saranno devoluti in beneficenza per costruire scuole calcio in Senegal e Gambia. “Ho fatto tanta strada. E ancora tanta ne devo fare”, dice Ebrima. Dal Gambia a Roma, passando per Lampedusa. Trascinato dalla forza dei sogni. Che a volte hanno la forma di un pallone.

di Lamberto Rinaldi

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