UCCIDETE ME, NON LA GENTE

Una semplice suora, umile, con le braccia alzate in segno, di resa o pace, ai piedi un paio di ciabatte, gli occhi, che guardano negli occhi, i soldati armati. Così, suor Ann Rose Nu Tawng, si schiera davanti al plotone di soldati in Myanmar, scandendo le parole, lentamente, una ad una: uccidete me, non la gente.

La scena è stata ripresa, l’immagine della suora che si inginocchia ha fatto il giro del mondo, scuotendo le coscienze, commuovendo, aprendo una riflessione sulla forza della pace. Il gesto di suor Ann Rose Nu Tawng è di una umiltà sconvolgente, che tutti possiamo imparare a fare. Un gesto che invita alla riflessione un un nuovo modo di agire per essere artigiani della pace, per dire che non è un’utopia d’altri tempi. La pace è nel cuore e nel l’agire senza indugi, sapendo da quale parte stare. Gli scontri, i morti, a Gerusalemme est, in cui i palestinesi vengono attaccati dai coloni israeliani, per cacciarli dalle loro case, nel silenzio assordante del mondo che rimane a guardare, necessitano di un grande movimento globale di artigiani della pace, e facile dove l’agire sia la forza di dire “uccidete me, non la gente”.

Artigiani di pace, è la beatitudine evangelica che ricorda Papa Francesco, incoraggiando l’agire a fare pace. Ognuno di noi, deve essere un artigiano di pace, combattendo contro il male che ci usa per tornare al caos, per dividere quello che l’amore unisce. Costruire la pace è faticoso e ci vogliono anni e anni, mentre rapido e facile è distruggere.

Don Matteo Zuppi, vescovo di Bologna, scrive nella prefazione al libro di suor Ann Rose Nu Twang, in cui racconta la sua storia: “Essere artigiani dà dignità al poco che possiamo fare. La pace non si misura con il risultato perché la pace inizia nel piccolo gesto, grande sempre, come quello di suor Ann Rose Nu Twang, che si misura con la sproporzione evidente, drammatica, tra una donna indifesa e sola e uomini armati e numerosi davanti a lei”. Ecco dove inizia la pace, ed ecco cosa è l’agire del piccolo, ma grande gesto, che sfida i fucili, mettendo al di sopra della propria incolumità, l’amore per la pace e la fratellanza. La forza del gesto nella semplicità del l’agire per sostituire la paura con l’amore. Per sostituire l’odio con la fratellanza. Non è questione di coraggio, ma di amore. L’amore per il suo popolo che vive nella sofferenza, perché il grido di dolore di un popolo lo senti ovunque e non si può stare tranquilli o nascondersi dietro al “non posso fare nulla” oppure “sono impotente” non dipende da me, e quanti altri luoghi comuni per evitare di agire, di fare quel piccolo grande gesto di inginocchiarsi davanti ai fucili. Questa indifferenza del non agire, lasciando le cose come sono, credere di poter restare sani in un mondo malato, è pretestuoso e sciocco, ed è senza umanità. Condividere, sentirsi fratelli, aiutare coloro che soffrono, ci rende umani. La pandemia può e deve accendere un sentimento di fratellanza tra le persone, di consapevolezza, di unione.

Capiamo davvero come la pandemia della guerra è una sola, come la terza guerra mondiale combattuta a pezzi. Vedere le varie  pandemie, rendersi conto della realtà, ci chiede di scegliere, di non rimandare.

“Io ho gridato ai dimostranti di entrare in clinica e sono andata davanti alla polizia e ai militari. Ho deciso di proteggerli , anche a rischio della vita. Se volete picchiare la gente o sparare sui dimostranti, fatelo con me al loro posto, perché non sopporto più che soffrano per le vostre violenze”.

Una donna, una suora, una sorella, indifesa e sola, davanti a lei, polizia e soldati, con gli scudi, con il manganelli, con il fucili, con gli elmetti, con i guanti, con gli stivali e gli scarponi. Pronti a colpire. Pronti a sparare. Pronti ad ogni violenza. Lei, una donna, una suora, una sorella, si inginocchia, alza le mani per abbracciarli. Non è coraggio. È amore. Ecco cos’è la fratellanza, ecco cos’è la sorellanza. Solo l’amore ferma la violenza.

Suor Ann Rose Nu Twang difende le persone, difende l’umanità, cerca la giustizia sociale, il bene comune, cerca l’uguaglianza nella libertà. “L’ingiustizia provoca sempre violenza e altra sofferenza, scrive don Matteo Zuppi, solo la non violenza e la scelta di difendere i più deboli può fermarla. Ricordo quella che ha colpito i rohingya, gruppo etnico tra i più perseguitati al mondo, secondo quanto affermano le Nazioni Unite, quelli per cui papa Francesco chiese perdono soprattutto per l’indifferenza del mondo…”

La violenza genera violenza, la pace genera la pace. Ma deve scattare una consapevolezza: nessuno è così piccolo da non poter ottenere la pace. “Un cinico direbbe che una scelta così non cambia il conflitto in corso. E quanto cinismo c’è in giro, di analisti che evidentemente non soffrono tanto da poter certificare l’utilità dei gesti, dice ancora don Zuppi, e arrivare a dire che non si può fare nulla, o che si innamorano delle loro analisi senza compromettersi nelle soluzioni”. Un piccolo gesto, anche se fosse servito a salvare solo una vita, e come salvare il mondo intero. Questi sono gli artigiani della pace, coloro che con piccoli gesti salvano vite umane. La chiave della pace non è una sola, non è in mano ad una persona. Le chiavi della pace sono infinite, sta a noi tutti prenderle ed aprire i cuori dove c’è solo odio e violenza, per creare armonia e amore. Un gesto. Un semplice piccolo gesto, può fare molto, può fermare un fucile, può salvare un fratello. Possiamo fare molto. “Io posso iniziare a curare l’aria inquinata che tutti respiriamo, carica di quel pericolosissimo gas inodore che è l’indifferenza, cui si aggiungono i predicatori della violenza, consapevoli e non, come quegli istigatori di pregiudizi, di fake news frutto di calcolo o ideologia, che cercano il nemico anche dove non esiste, lo creano di fatto e non identificano così il vero nemico da combattere”. Non ci sarà pace senza condivisione e accoglienza, senza una giustizia sociale che assicuri equità. Non ci sarà pace senza popoli che tendono la mano ad altri popoli. Non ci sarà, dice Zuppi, finché gli altri saranno un loro e non un noi. La pace non chiede né vincitori né vinti, ma fratelli e sorelle che, nonostante le incomprensioni e le ferite del passato, si accolgano in un abbraccio solidale. Il cammino inizia dalla rinuncia ad avere nemici da combattere, ma uno solo da affrontare: l’inimicizia.

di Claudio Caldarelli e Eligio Scatolini

Print Friendly, PDF & Email