Una terra che vuol dire libertà
Ad oggi sembrano quasi autorevoli, originali, pioneristici gli assunti di Disuguaglianze di genere nelle economie in via di sviluppo, volumi scritti dall’economista indiana Bina Agarwal, classe 1951, professore ordinario presso l’Università di Manchester di Economia dello sviluppo e ambiente.
Con una ricerca profonda e di ampio spettro, condotta sul campo nei Paesi in via di sviluppo, si evince infatti come povertà e diseguaglianza di genere siano realtà strettamente correlate.
Così se in Asia meridionale l’agricoltura assume sempre più spesso fattezze femminili, poiché le donne rappresentano oltre la metà della forza lavoro, le ricerche di Agarwal si spingono a prefigurare un modello alternativo a quell’agricoltura familiare di piccole dimensioni, che costringe le donne al ruolo di presenze invisibili, prive di potere decisionale, negoziale e di controllo sui beni coltivati, poiché appartenenti al marito.
Con tali scritti si vuole illustrare il motivo per il quale l’attenzione ai diritti indipendenti delle donne in materia di proprietà è così importante per il loro potere economico, sociale e politico; di quali diritti legali godono; le norme sociali e le pratiche culturali che ostacolano tali diritti nella pratica e le vie da seguire per un cambiamento efficace. È infatti il possesso dei beni, della terra in particolare, da parte delle donne, ad incidere sul loro status economico, sociale e politico. Inoltre, ed è questa una delle tesi più innovative di questo saggio, le ricerche sul campo condotte da Agarwal dimostrano come il rischio di violenza coniugale venga molto ridotto dal possesso di beni immobili da parte delle donne stesse. Sembra infatti che l’incidenza della violenza fisica sulle donne non sposate e senza proprietà è risultata pari al 49 per cento, contro il 7 per cento delle donne che possiedono sia la casa che la terra.
Dunque, secondo gli studi e le ricerche dell’economista indiana, la vera spallata al patriarcato viene assestata quando la donna può vantare un possesso reale di beni, intesi inoltre come un luogo alternativo “extra-familiare”, tale da renderla potenzialmente libera di andarsene in caso di maltrattamenti e abusi. Si può quindi ipotizzare – continua Agarwal – che i beni immobili offrano alla donna sicurezza economica e fisica, aumentino la sua autostima e segnalino visibilmente la forza della sua posizione nonché la possibilità tangibile di una via d’uscita.
Paradossalmente al contrario, avere un impiego non sembra fornire la stessa protezione in quanto se le donne godono di un lavoro migliore dei loro mariti ciò scatena in loro una sorta di ostilità dovuta alla posizione inferiore rispetto alle loro mogli. Viene meno il loro potere che a questo punto esercitano con la forza, l’aggressività, la violenza, i soprusi.
Ma non è tutto: il cambiamento auspicato da Agarwal e facente leva sul possesso della terra, non solo protegge la popolazione femminile dalla violenza maschile, ma determina anche conseguenti effetti economici positivi sulla produttività agricola della comunità, sulla riduzione della povertà e della diseguaglianza, sulla sicurezza alimentare, sulla coesione sociale.
La qualità dei risultati migliora quando riescono a unirsi tra loro e a non dipendere più dalla logica del lavoro familiare, in cui il loro apporto rimane invisibile e in cui si forma il primo stadio delle diseguaglianze di genere poiché quel lavoro è gestito da uomini.
Le donne, anche quelle che non possiedono terreni, possono così entrare a dare vita a un gruppo, creando dinamiche di lavoro femminile cooperativo che assicuri loro autonomia nel prendere decisioni sulla produzione, oltre a rafforzarle in virtù di un’identità indipendente.
In società profondamente patriarcali, dunque, il lavoro, una casa e un terreno rappresentano opzioni concrete per sottrarsi alla violenza maschile, danno alle donne la possibilità di costruirsi una vita al di là dell’oppressione, le fortificano nella consapevolezza del loro valore e delle loro potenzialità, aumentano la loro autostima, la propria percezione non solo come donne in grado di produrre come e più di un uomo ma principalmente come persone capaci di effetti economici positivi per la comunità.
Questo vale in India come in Occidente, è una realtà che in modi differenti accomuna paesi lontani non solo geograficamente.
di Stefania Lastoria