Istat, la pandemia e il moltiplicarsi della violenza sulle donne

È stato diffuso il 17 maggio, lo studio dell’Istat denominato «Le richieste di aiuto durante la pandemia» consegnando i dati dei Centri antiviolenza, delle Case rifugio e delle chiamate al 1522 relativi al 2020. A ridosso del 25 novembre (la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne), già si fotografava il grave intensificarsi di tali episodi sia a livello nazionale che internazionale.

Lo studio dell’Istat ci conferma dunque che l’emergenza sanitaria ha avuto, in particolare nella fase del lockdown che ha previsto convivenze forzate, l’effetto di detonare situazioni pregresse di violenza e scoperchiarne di ulteriori.

Si è assistito infatti ad un aumento consistente delle chiamate all’utenza dedicata del 1522 pari al 79,5%, ovvero da 8.427 richieste del 2019 si è passati a 15.128 nel 2020.

Si tratta, nel 47,9% dei casi di violenza fisica, anche se tutte le donne che si sono rivolte al 1522 hanno denunciato più forme, compresa quella psicologica nella metà dei casi.

In aumento l’aiuto chiesto dalle ragazze, nella fascia di età fino ai 24 anni (11,8%) e dalle donne di età superiore ai 55 anni (23,2%); in assoluto, circa la metà risulta coniugata.

Un dato in crescita e di forte rilevanza positiva è quello relativo alla tipologia delle persone che si rivolgono al 1522, oggi nella maggior parte dei casi le donne ma con un aumento, fino all’80% in più, di parenti, amici, conoscenti e operatori territoriali che chiamano per segnalare situazioni di violenza.

Come a dire che il problema non viene più circoscritto alla “coppia” ma anche tra parenti e amici si osserva questa necessità di non tacere quanto piuttosto di denunciare, allertare le autorità competenti, segnalare episodi di sopruso in aiuto della vittima.

La difficoltà affrontata dai centri antiviolenza, ampiamente descritta nei mesi scorsi, tra emergenza sanitaria, penuria di fondi e impossibilità evidenti connesse al lockdown, non ha tuttavia prodotto l’interruzione dei servizi. Grazie alla rete delle associazioni e dei centri infatti si sono svolti in presenza – rispettando le regole del distanziamento – il 67,3% dei colloqui, telefonate e mail hanno fatto il resto – che è tantissimo immaginando quanto nelle prime settimane di pandemia si sia avuto un fisiologico calo di utenze e un panorama tutto da ripensare in relazione a ciò che di inedito stava capitando. Maggiore è stata invece la difficoltà accusata dalle Case rifugio che, nella metà dei casi, hanno trovato difficoltà nel trovare nuove strategie di intervento, avendo una natura di carattere residenziale e dunque difficilmente modificabile.

E proprio alla luce di quanto emerso e dei numeri che urlano nero su bianco, sarà opportuno considerare quanto mai essenziale il lavoro che viene svolto sui territori, le reti politiche e di sostegno che non si sono date per vinte anche durante i mesi più difficili dello scorso anno.

Il fatto poi, che la violenza maschile contro le donne abbia mostrato il suo aspetto strutturalmente difficile da scalfire proprio nel bel mezzo di una pandemia mondiale, spinge tutti a porci delle domande che stavolta non possono restare senza una risposta, senza un’elaborazione e la seria volontà di iniziare a comprendere il problema trovando soluzioni efficaci, una rieducazione che parta dalla scuola e la certezza di pene più rigide e severe per chi compie tali reati. Perché troppo spesso a fronte del coraggio di una denuncia, non cambia nulla per le vittime che anzi sono poi costrette a subire il doppio dei maltrattamenti e delle vessazioni, da parte di “uomini” che sentono di aver perso il dominio, la supremazia, il potere e il possesso sulle “loro” donne.

Un problema indubbiamente culturale che in ogni caso va affrontato con forza e determinazione con il solo fine di estirpare una volta per tutte questa aggressività dirompente sempre più presente nelle nostre società occidentali.

di Stefania Lastoria

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