DEL DISAGIO GIOVANILE E DELLA DEVIANZA

La letteratura scientifica sul disagio, sia quella di tipo pedagogico che psicologico, ha dimostrato come il concetto di disagio sia estremamente complesso e variegato.

 Il disagio ha in sé la caratteristica di riferirsi ad un vasto ambito di problematiche spesso diverse tra loro e non sovrapponibili, ma capita, non di rado, che questo venga confuso con altri fenomeni ad esso correlati, quali quelli del disadattamento e della devianza. Possiamo,  invece,  definirlo una condizione legata a percezioni soggettive di malessere mentre il disadattamento si esprime oggettivamente come relazione disturbata con uno specifico ambiente.

Non è un caso che spesso per gli studenti il disagio equivalga ad una spirale progressiva che, partendo da un malessere psicologico nei confronti della propria esperienza scolastica e della fatica di crescere in generale, può arrivare ad una difficoltà evidente nel realizzare i propri obiettivi formativi, fino alla bocciatura o all’abbandono e alla dispersione scolastica.

Ambo i termini non vanno confusi con la devianza, che si manifesta come un comportamento che infrange delle norme costituite in conseguenza di un disagio, derivante da cause diverse più o meno complesse.

Ogni adolescente vive un disagio dovuto proprio alla difficoltà di diventare grande, quando, però, questo travalica certi limiti “fisiologici”, allora può costituire una richiesta d’aiuto, per lo più inconsapevole.

La tendenza a compiere gesti trasgressivi nei confronti dell’ambiente e dell’autorità rappresenta una delle modalità con cui l’adolescente si confronta continuamente durante la sua crescita, egli vive, quindi, in tensione  tra trasgressione  e normalità ed un semplice disorientamento può confonderlo

Ogni educatore, sia esso genitore, insegnante o altro, ha il dovere di osservare ed interpretare i comportamenti dei ragazzi, le cose dette e non dette, nonché di conoscere il microcosmo nel quale essi vivono, per non ignorare nessuna delle variabili che intercorrono nel loro processo di formazione.

Purtroppo, spesso è la stessa società a provocare il problema del disagio, imponendo un tenore di vita inadatto, falsi ideali e modelli sbagliati o irraggiungibili.

Merton, infatti, interpreta i comportamenti devianti come conseguenza di una tensione che viene prodotta da un divario, oggettivo e avvertito a livello individuale, tra le mete che una persona si prefigge (successo, denaro) ed i mezzi che essa ha a disposizione per raggiungerle.

Di contro, per  Agnew è,  invece, il rapporto negativo che s’instaura tra il ragazzo, il suo ambiente e le persone con cui entra in relazione, a determinare lo “strappo” che può spingerlo ad una condotta deviante.

Infatti, il ragazzo non può vivere nella tensione, ha bisogno di adattarsi ad essa laddove persone socialmente e culturalmente svantaggiate hanno un numero ridotto di possibilità di adattamento. Possono cadere facilmente in comportamenti devianti, in quanto per loro rappresentano forme di adattamento, in mancanza di importanti occasioni di crescita umana.

Il bullismo, la tossicodipendenza, la violenza … sono espressioni  di malessere e di disagio e possono essere sconfitte solo offrendo ai giovani percorsi capaci di evitare o contrastare situazioni di disagio; è necessario educare a vivere in modo responsabile, ad amare la vita e a trovare il gusto e l’interesse nel conoscere e nel fare, a dare un senso all’esistenza.

Questi principi, propri dell’educazione alla salute, sono indispensabili in ogni progetto di prevenzione dei comportamenti devianti e fondamentali in ogni percorso di formazione umana.

Per migliorare la condizione dei giovani e fare in modo che le loro vite non siano prive di azioni ed occasioni basilari di crescita è necessario contrapporre al nichilismo o al disagio, il lavoro, l’educazione, il dialogo e la comprensione, alla strategia della violenza.

Gli interventi devono essere rivolti, quindi, non tanto alla prevenzione dei comportamenti devianti, quanto alla promozione di situazioni di benessere e di rinforzo della resilienza, cioè della capacità dell’uomo di affrontare e superare le avversità della vita, di superarle e di uscirne rinforzato e addirittura trasformato positivamente.

Ciò può avvenire attraverso azioni finalizzate ad incrementare le abilità e le competenze dei giovani, affinché essi possano avere tutti gli strumenti necessari per assumersi la responsabilità della propria vita, consci dei propri limiti ( e di quelli sociali) e delle proprie risorse interne e materiali.

Strategia che si traduce in un intreccio tra interventi di rete, programmi educativi rivolti anche agli adulti e progetti formativi volti a considerare i ragazzi, meno dotati culturalmente o socialmente “a rischio”, come persone in grado di assumersi le proprie responsabilità  ed i pericoli connessi all’esercizio della propria libertà, quindi meritori di maggiori e qualificate attenzioni.

Educazione, etica e morale  sono, in definiva, passaggi obbligati per la crescita integrale della persona.

Prof- Nicolò Pisanu

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