Giustizia alla sbarra dei referendum

Duecentomila in sole due settimane le firme raccolte sulle cinquecentomila necessarie a richiedere l’indizione di un referendum popolare. Il riferimento è ai sei referendum sulla giustizia che Partito Radicale e Lega stanno promuovendo sul tema della giustizia. Duecentomila firme, dunque, per ognuno dei singoli referendum. Questo ammesso che ogni firmatario li abbia sottoscritti tutti e sei, potendo farlo anche solo per alcuni di essi e non firmare gli altri.

Eccone comunque l’elenco: 1. Riforma del Consiglio Superiore della Magistratura; 2. Responsabilità diretta dei magistrati; 3. Equa valutazione dei magistrati; 4. Separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti; 5. Limiti alla custodia cautelare; 6. Abolizione del Decreto Severino.

È la prima volta che nella lunga storia referendaria italiana i Radicali si trovano affiancati da un partito di peso nazionale e parlamentare come quello della Lega. Il successo della raccolta di firme è perciò scontata. Basterebbe d’altronde la richiesta di cinque consigli regionali per ottenere lo stesso risultato. Per la fine dell’estate, però, i due promotori, annunciano la raccolta di almeno un milione di firme, per sottolineare il carattere popolare maggioritario dell’iniziativa. Da Partito Radicale e Lega, inoltre, la platea delle forze politiche sostenitrici, si va allargando a tutto il centro destra, da Forza Italia a Fratelli d’Italia, oltre che a singole personalità di rilievo pubblico appartenenti a quest’area. Anche Italia Viva di Renzi sta valutando proprio in questi giorni se aderire e in quali modi. Non sono mancate neanche dichiarazioni favorevoli di esponenti della sinistra, tra cui l’eminenza grigia del Pd Goffredo Bettini. Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Liberi e Uguali, invece, rimangono contrari, sostenendo che quella della giustizia è una riforma da realizzare in Parlamento. Anche se è vero, però, che sono troppi ormai gli anni, i decenni, che su quelli alti scranni istituzionali non si riesce che a paralizzarsi a vicenda in questo accidentato versante della nostra vita pubblica. E i danni, gli errori giudiziari, le detenzioni ingiustificate, l’accumulo di fascicoli, il ritardo di processi mai iniziati continuano ad aumentare mostruosamente. Tanto da fare della giustizia italiana un vero grande straziato zombie senza requiem.

Da questa paralisi e metastasi, sostengono promotori e sostenitori dei sei referendum, scaturisce la forma maggiore della loro incontrovertibile necessità. Anche perché parte delle somme previste dal Recovery Fund europeo sono condizionati proprio a comprovate misure di riforma della nostra giustizia. In tutte le dichiarazioni pubbliche degli esponenti del centro destra si sostiene la necessità dei referendum per aiutare, sollecitare, stimolare Parlamento e Governo ad attuare finalmente una riforma. Ma già qui, però, si apre un problema. Marco Pannella, il grande vate referendario, il quale –  nonostante la sua scomparsa – è tutt’ora in compresenza vivente e pensante nell’azione dei Radicali, ha sempre sostenuto che il Referendum è l’altra via, l’altra scheda elettorale che la Costituzione ha previsto per il popolo italiano. Ossia: esso costituisce, si fa legge di per sé. Non è uno stimolo, una specie di lassativo istituzionale, ripeteva sarcasticamente. E non a torto. Nel caso di questi sei referendum, infatti, è evidente che lo schieramento di centro destra li userà per configurarsi come maggioranza di fatto, ossia dentro-fuori, il Governo, dettando modi e toni non solo della riforma, ma della sua linea politica generale.

I fatti del penitenziario di Santa Maria Capua Vetere, visitato in questi giorni dal presidente Mario Draghi e dalla ministra della giustizia Marta Cartabia, costituiscono un’autentica cartina al tornasole. Essi attengono e come al tema più bruciante della Giustizia con la G maiuscola. Per Pannella e Radicali la difesa dei diritti e della condizione dei detenuti è una tra le loro battaglie più caratterizzanti. Il leader della Lega Salvini, insieme ad altri esponenti dell’area di destra, invece, non ha condannato questa ennesima nostrana macelleria messicana, schierandosi con tutta la forza politica con gli agenti carcerari. Ci si è limitati a una dichiarazione di facciata di accertamento di colpe e responsabilità, non di netta, convinta, incontrovertibile esecrazione di un fatto criminale. E il loro stesso schieramento a livello europeo con governi e forze sovraniste che stanno attuando vergognose misure di repressione di legittimi diritti civili e politici, dice più di ogni altra dichiarazione il reale, anzi, realissimo incasso che si vuole ottenere con questi referendum da parte loro. Una giustizia giusta, ma solo perché le mettono la loro cavezza, le loro briglie, la loro sella, i loro speroni nel galoppatoio del potere.

Non sono certo queste le motivazioni originarie e i risultanti da conseguire per i Radicali, ma il peso istituzionale della loro forza, purtroppo, è quasi irrilevante rispetto allo schieramento di centro destra. Di referendum vinti e traditi, d’altronde, la loro storia è piena. E traditi anche proprio nell’atto di tradurre in nuovi articoli di leggi dello Stato quelli vecchi aboliti per via referendaria. E i Radicali oggi in Parlamento neanche ci sono. Così pure questa volta, inevitabilmente, a guidare la traduzione parlamentare di un esito vittorioso dato per certo non saranno certo loro, ma i loro alleati di centro destra, che faranno pesare il grande bottino di firme e di voti solo grazie a loro conseguito. Una vicenda tale quella della giustizia italiana, però, che occorre continuare a seguire.

di Riccardo Tavani

 

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