Salvati tu che hai un sogno

Cherif Karamoto non è annegato nel Mediterraneo, si è salvato, con il salvagente del fratello. Cherif ce l’ha fatta. Il prezzo della sua vita lo ha pagato suo fratello Mory. Mentre annaspavano, tra le onde, al largo della Libia, quando l’imbarcazione si è sfasciata, prima di scomparire tra i flutti, Mory passa al fratello Cherif il suo salvagente. Glielo allaccia e lo esorta a resistere: “Devi salvarti tu che hai un sogno”.

Cherif Karamoto ora gioca in serie B, come calciatore del Padova. Ha scritto un libro, con il giornalista Giulio De Feo, in cui racconta la sua storia, “Salvati tu che hai un sogno” edito da Mondadori. Nel suo libro descrive il doppio viaggio dalla Guinea al sud della Libia e da qui alla costa del Mediterraneo per l’imbarco. Un viaggio terribile. Da dannati della terra. Un viaggio fatto di violenze, estorsioni, torture, fame e sete. Un inferno dentro l’inferno. L’inferno di Cherif, che resiste solo perché suo fratello Mory lo sostiene nei momenti più drammatici e gli da la forza di proseguire. Anche quando il giorno prima di partire, gli arriva la notizia che il gruppo partito il giorno prima non ce l’ha fatta. Tutti morti annegati nel Mediterraneo.

Un rapporto dell’Onu dice che sono morti affogati 886 persone, dall’inizio dell’anno, tantissime donne, tantissimi bambini, tantissimi corpi mangiati dai pesci o scarnificati dai gabbiani, abbandonati sulle spiagge libiche. Bambini alla deriva, senza nessuno. Senza un fratello, che si sacrifichi per loro. Sono più di 13.000 le persone intercettate e riportate in Libia, nei lager, dove vengono quotidianamente torturati, le donne violentate e i bambini venduti. Lasciati sotto il sole, senza acqua né pane. Sono numeri considerevoli. Sono persone, nostri “fratelli tutti”, di cui nessuno parla. Abbandonati alla indifferenza dei media, dei governi, della Europa e delle istituzioni politiche. Solo Papa Francesco non si dimentica mai di loro, solo i quotidiani cattolici, Avvenire e Osservatore Romano, ne parlano tutti i giorni, in prima pagina. Mario Draghi, l’uomo della provvidenza, non parla mai dei migranti che affogano nel Mediterraneo, non è un suo problema, eppure tutte le domeniche va in chiesa a pregare, forse un Dio diverso da quello di Papa Francesco. Forse, Mario Draghi, è la provvidenza delle banche, delle imprese, del capitale, e non lo è per i bambini e le donne che affogano, dopo essere stati torturati e violentati.

Migliaia di persone, ognuno è un volto, ognuno è una storia, ognuno è madre o figlio o padre, ognuno è fratello, di noi “fratelli tutti”. Ognuno è una storia drammatica fatta di persecuzioni e sofferenze, di sacrifici inenarrabili, di sogni infranti per sempre. Intanto, la nave Ocean Viking continua a navigare in attesa che qualcuno le indichi un porto sicuro di sbarco per i 572  naufraghi stremati raccolti in mezzo al mare Mediterraneo. Ancora nessuno accoglie la nave che ha raccolto 572 “fratelli tutti”, donne e bambini. La “provvidenza” di Mario Draghi ancora non si manifesta per la Ocean Viking. Mercoledì scorso, al Senato, una conferenza stampa ha presentato un appello di 29 organizzazioni umanitarie, laiche e cattoliche, rivolto all’uomo della provvidenza Mario Draghi, chiedendogli di fermare la strage nel Mediterraneo e cancellare il memorandum con la Libia. Alla vigilia del dibattito parlamentare sul rifinanziamento delle missioni militari italiane è emerso che il Governo italiano ha deciso di incrementare i fondi concessi alla Guardia Costiera libica. Una ulteriore prova che finanzia i respingimenti, contro l’accoglienza, la tortura e le violenze di ogni genere. Un finanziamento alla Guardia Costiera libica che lascia morire donne e bambini. Dal 2017, anno della firma del nostro Governo,  del Memorandum con la Libia, oltre alla strage continua di innocenti in mare, assistiamo agli interventi della Guardia libica, finanziata con soldi pubblici italiani e della Unione Europea, che ha operato respingimenti, riconducendo nei centri di detenzione più di 60.000 persone, donne e bambini, “fratelli tutti”. Non sono salvataggi in mare, come vogliono farci credere, è ben noto che essere riportati in Libia significa essere condannati a violenze, abusi, torture di ogni tipo.

La missione libica non è di salvare vite in mare, ma impedire di partire, con ogni mezzo, violenza e torture comprese. Questo, l’uomo della provvidenza, che va tutte le domeniche in chiesa, ne è informato.

Cherif Karamoko, è passato dall’inferno della Guinea al debutto in serie B con il Padova. Mentre attraversava il deserto, pensava di non farcela, vedeva gente morire di stenti, di fame, di sete, e non c’era nessuno ad aiutarli. Non avevano niente, venivano picchiati e torturati, ogni volta, dalle forze libiche regolari e paramilitari. Il giorno prima di imbarcarsi, alla notizia che quelli prima di loro erano affogati in mare, è scoppiato in pianto. Suo fratello Mory, che fino a quel momento l’ha protetto in tutti i modi, sbotta: “Ti hanno imprigionato, torturato, non hai bevuto e mangiato per giorni, hai fatto un viaggio che nemmeno gli animali potrebbero sopportare, eppure sei qui e piangi ancora”. Quando il barcone si sfascia e tutti finiscono in acqua, a bere il sale del mare, ad affogare senza nessuna “provvidenza”, Mory Karamoko si toglie il salvagente e lo passa a suo “fratello” Cherif, glielo allaccia e lo incita a resistere: “ Devi salvarti tu, per tutti noi, che hai un sogno”.

di Claudio Caldarelli e Eligio Scatolini

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