Gli anelli mancanti

Lavorando in campo educativo, mi convinco sempre più che l’educazione sia da intendersi secondo la metafora del “sistema”, con le sue logiche interne e le connessioni che si nutrono di strategie e sinergie. Un sistema antropocentrico dove la persona si gioca nella duplice veste di soggetto e oggetto, al fine della propria crescita globale.

Dentro tale sistema si collocano, con grandezze e significati diversi, consapevoli o inconsapevoli “agenti” educativi che, solitamente, vengono assimilati riduttivamente alle figure del genitore de dell’insegnante. Tutti sappiamo, però, come un simile quadro, già di per sé angusto, soffra pesanti condizionamenti.

La complessità sociale nonché la povertà culturale e formativa della società odierna, consumistica e voyaeuristica, provoca mutamenti degli stili relazionali e svuotamento dei ruoli sociali che turbano l’omeostasi del “sistema educazione”, riducendone le risorse.

La comunicazione sociale conseguente scandisce toni di difesa e di arroccamento, onde arginare l’ansia, e le dinamiche del conflitto o della separazione manichea hanno il sopravvento sulla mediazione e le creatività.

La Scuola può essere assunta ad “icona” di tale situazione. Essa viene percepita, da genitori e allievi, come supermercato del sapere del quale fruire secondo i propri gusti e interessi, più concreti che culturali, e dal quale pretendere i migliori prodotti ed efficienti “distributori”. D’altro canto, i docenti spostano l’attenzione sia sull’offerta dell’apprendimento sia sulla salvaguardia professionale-lavorativa.

Nel contempo, la struttura scolastica tenta di riorientarsi verso l’asse educativo tramite l’invio di input con aspettative formative, quali i Piani Offerta Formativa (POF): validi nelle premesse, ma inconsapevoli rinforzi, nella forma, del sapere consumistico. Infatti, si risolvono, per lo più, in proposte di attività più accattivanti e accessorie che pedagogicamente influenti e gravano sui soliti insegnanti di “buona volontà”. E il fine ultime dell’operazione appare, al cittadino smaliziato, nella sua ineluttabilità di “mercato”: consolidare il bacino di utenza.

In tal senso, con un po’ di ironia: Scuola dell’obbligo diventa scuola dei diritti; offerta formativa diventa offerta del prodotto; relazione educativa diventa servizio clienti; valutazione: accessoria al consumo di ulteriori prodotti, quali il titolo finale; educazione non antropocentrica bensì egocentrica.

Va da sé che la scuola viene percepita come complesso di servizi, sul modello aziendale, per cui la programmazione didattica è pari al ciclo produttivo, in linea con gli imperativi economici e politici della società.

Rimandando ad altre occasioni l’approfondimento di un discorso così articolato e complesso, mi preme qui  riprendere e focalizzare l’attenzione sull’educazione intesa quale significante di tutto l’impegno strutturale dispiegato in ambito scolastico. In specie, “sugli anelli mancanti” che potrebbero fungere da liaison educativa fra genitori e insegnanti, in un’ottica di servizio pedagogico e non di fruizione di servizi. Intendo, riferirmi alle figure dell’educatore professionale e dello psicopedagogista, quali agenti proponibili per la cura del processo educativo, fuori dalle ambasce sia dell’allevamento – accudimento sia della trasmissione dei contenuti da apprendere. Figure fino ad ora valorizzate poco o affatto nel campo dell’educazione cosiddetta formale. Ambedue, invece, trovano collocazione nell’educazione cosiddetta informale laddove lo psicopedagogista, talvolta, si mimetizza nel ruolo di docente, in posizione ibrida.

Ciò comporta una riflessione pedagogica di ampio respiro sulle funzioni educative, che qui mi limito ad accennare. J. F. Herbart ne segnalava principalmente due: l’insegnamento – apprendimento e la guida – accompagnamento, pur senza disgiungerle.

Se, in effetti, il disgiungerle equivarrebbe a creare una discutibile dicotomia, si deve tenere conto, comunque che la prima abbraccia di più l’ambito scolastico, la seconda quello sociale. Inoltre, la scuola non può prescindere dalla società così come l’insegnamento – apprendimento si accompagna, in gradi diversi, alla guida – accompagnamento.

La riflessione si pone, perciò, sul tipo di connessione che si viene a stabilire tra scuola e società quindi sulle forme, sui tempi e gli spazi dell’educazione formale e di quella informale. Si tratta di riesaminare e ricollocare l’archetipo della “centralità della scuola” e dei tentativi messi in atto per riconoscere acriticamente al suo apparato il primato dell’istruzione e ad altri quello dell’educazione. Perché, di fatto, tale concezione mentre smentisce la dicotomia di cui sopra, la riafferma.

La scuola, come afferma D. Demetrio, ha perso sia il primato della centralità sia quello “spazio – temporale” nei confronti di altri spazi e tempi dove i ragazzi imparano e si formano (basti pensare ai mass media e alle molteplici offerte della telematica, internet in primis).

I “tempi pieni” o i “tempi prolungati”  convincono secondo la logica del genitore che lavora e non può accudire la prole più che dal punto di vista pedagogico.

Forse, si tratta, senza cadere nel semplicismo, di teorizzare la coniugazione dell’unico termine “educazione”, dove formale e informale appaiono orami desueti se confrontati con le connotazioni sociali dell’oggi.

Ciò comporta risistemare il sistema educativo allineando, a pari grado, secondo una logica sinergica di rete, figure, tempi e spazi dove l’insegnamento-apprendimento non sia disgiunto dalla guida-accompagnamento. Ne nasce, allora, una catena di “anelli”: genitore – insegnante – educatore p. – psicopedagogista, interagenti pur con compiti diversi.

Dando per scontato i compiti dei primi due “anelli”, all’educatore p. spetterà l’animazione degli interventi socio-educativi (p. es.: educazione ai rapporti, ed. ludica, mediazione interculturale…); allo psicopedagogista la consulenza per docenti e genitori, individuale e di gruppo.

Il tutto secondo un lavoro di équipe, così come preconizzato tempi addietro, pur in altri termini, e mai o in parte realizzato, oppure limitato, come accade, al momento diagnostico/terapeutico con l’introduzione dello psicologo nella scuola. Figura non certo estranea ma neanche di spicco in un contesto eminentemente educativo. Nonostante la riverenza che la società ha sempre mostrato per tutto ciò che sa di terapeutico e clinico.

Si tratta, in definitiva, di immettere e/o coordinare nel sistema educazione agenti capaci di affrontare le situazione diversificate che si affacciano nel lavoro quotidiano poiché la domanda educativa va oltre lo standardizzabile.

 

Prof. Nicolò Pisanu

 

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