Otelo, lo stelo più prezioso della Rivoluzione dei Garofani

Fummo in molti da ogni parte d’Europa, ma soprattutto dall’Italia, a partire con ogni mezzo per il Portogallo tra la primavera e l’estate del 1974. Il 25 aprile di quell’anno un movimento di militari terzomondisti, democratici, progressisti aveva messo fine all’impero coloniale e alla dittatura più longeva del vecchio continente. Mezzo secolo di repressione, arretratezza e sfruttamento interno ed estero sotto il regime guidato da Antonio de Oliveira Salazar, conclusosi con la deposizione del suo successore Marcelo Caetano. Si chiamava Movimento dei Capitani, protagonista  della Rivoluzione dei Garofani. Otelo Saraiva de Carvalho, capitano dell’esercito portoghese, è la mente, lo stratega, l’eroe più fulgido di quella rivoluzione. Nato nel 1936 a Maputo, Mozambico, è scomparso il 25 luglio scorso a Lisbona. Per tutti, però, è stato e continuerà a essere Otelo, perché così tutti lo chiamano popolarmente: Otelo e basta. E non ha mai dismesso il motto El poder o povo, il potere al popolo, pagandone anche dolorose e ingiuste conseguenze.

L’entusiasmo che suscitò tra noi ragazze e ragazzi fu immediato. Io mi ritrovai – non ricordo come, portato da chi – a casa di Isabel do Carmo, la dottoressa rivoluzionaria, oppositrice della dittatura già durante i suoi brillanti studi universitari, subendone le conseguenze repressive. In quel momento Isabel è una delle figure, delle menti  di spicco di quella svolta storica. Con Carlos Antunes, suo marito, aveva fondato sotto la dittatura salazarista le Brigate Rivoluzionarie e nel 1973 il Partito Rivoluzionario del Proletariato. È molto vicina a Otelo, una vera compagna su cui contare nei cruciali momenti di vita e nel Processo Revoluzionàrio Em Curso. La notte nella sua casa si dormiva poco: pullula di militanti, in collegamento radio permanente con le varie postazioni militari carvalhiste. Pronti a entrare in azione armi in pugno sia per respingere il temuto colpo di coda delle forze reazionarie, sia per far avanzare lo schieramento e gli obiettivi sociali della rivoluzione. Di giorno le principali piazze e vie di Lisbona, altri luoghi d’incontro all’aperto o al chiuso, come il Palazzo dello Sport, sono un continuo di manifestazioni, incontri, dibattiti molto partecipati. Nei cortei sfilano i militari rivoluzionari con i garofani sulle bocche dei fucili. Nelle bocche di tutti risuona invece Grândola villa morena, la canzone proibita dal regime, ma trasmessa come segnale della rivolta a mezzanotte in punto del 25 Aprile 1974 da Ràdio Renascença: “Grândola, città dei Mori, terra di fratellanza, è il popolo che più comanda dentro di te, o città, è il popolo”.Sincronicamente a quelle note e quelle parole si mossero i capitani e i loro soldati, e già all’alba niente era più come prima. La fioraia  Celeste Caiero aveva appena montato la sua bancarella su una piazza di Lisbona. Offrì tutti i garofani che aveva a quei ragazzi e questi infilarono gli steli nelle canne dei loro fucili. Otelo de Carvalho era lo stelo più prezioso di quel mazzo. Ci furono solo quattro vittime: causate da un corpo militare che si opponeva al cambiamento. Pure Ràdio Renascença era un punto d’incontro e d’ascolto seguitissimo a ogni ora del giorno e della notte: anch’essa – come casa do Carmo – seguiva i movimenti notturni dietro le mura e le ombre delle caserme, dei vecchi palazzi istituzionali. In Italia ancora non c’erano le radio politiche libere, e parlare da quei microfoni è stato per me, per molti un’emozione unica.  

Per capire cosa avevano veramente in mente i movimenti legati a Otelo e a Isabel do Carmo, occorreva andare a lavorare materialmente nelle campagne, partecipando anche al tentativo di avviare le prime comuni dei contadini nella nuova era. Si doveva vivere, faticare, mangiare, discutere insieme a loro, come in tanti abbiamo fatto, per toccare con mano condizioni sanitarie, di vita, educative di grave arretratezza. La rivoluzione non poteva soltanto limitarsi al ripristino delle formalità legali, parlamentari democratiche. Doveva avviare un processo che avesse consentito agli strati più sfruttati del Portogallo di essere protagonisti del proprio riscatto materiale e spirituale. Questo il significato più autentico del Poder o povo. Processo necessario anche perché le forze della normalizzazione stavano già puntando proprio su tale arretratezza quale retroterra restaurativo. Tutto, però, era drammaticamente aperto. Non c’erano validi modelli da seguire. Non certo quelli dell’Unione Sovietica e della sua sfera d’influenza nei paesi dell’est europeo. Otelo tentò anche di ispirarsi all’esperienza cubana, compiendo un breve viaggio perlustrativo insieme a Fidel Castro. E d’altronde la situazione interna incalzava, non lasciava troppo tempo disponibile alla riflessione teorica e alla sperimentazione sociale.

Elevato al grado di generale, Otelo è anche capo del COPCON (Comando Operativo Continentale), ma viene subito dopo rimosso, sollevato da ogni incarico e degradato a maggiore con l’accusa di aver promosso un tentativo rivoluzionario dei settori più progressisti delle forze armate che si opponevano alle manovre sempre più pressanti dei conservatori. Nello stesso anno si presenta candidato alle elezioni presidenziali contro Antonio Eanes. Non ha speranze, tutti i giochi di potere, di palazzo e degli alti comandi militari sono contro di lui. Lui partecipa ugualmente, con un unico dichiarato obiettivo: mantenere vivo un punto di riferimento sicuro per i settori sociali che avrebbero continuato a essere lasciati ai margini della nuova vita civile del paese. Nel 1984 è arrestato con l’accusa di contatti con la formazione armata Forze Popolari 25 Aprile. Condannato a 15 anni nel 1987, viene poi scarcerato nell’89 e amnistiano nel 1996.

Ora tutti gli riconoscono il ruolo decisivo svolto per aprire il cammino del suo paese verso futuro. E oggi, indubbiamente, il Portogallo ha un governo socialista, tra i più progressisti d’Europa, che ha saputo rimontare una grave crisi economica, senza ricorrere a provvedimenti da macelleria sociale. Isabel do Carmo ha dichiarato che la scomparsa di Otelo rappresenta la fine di un’epoca e di un’utopia. La sua epoca, forse, era già conclusa da tempo. In quanto all’utopia, invece, al di là degli obiettivi sociali storicamente determinati che Otelo ha tentato di materializzare, il suo resta forse l’esempio di una testimonianza tenace che ha cercato di dare luce a ciò che restava nascosto e soffocato nel buio del sottosuolo. E questo più che un’utopia – soprattutto in quest’era di smarrimento pandemico – dovrebbe essere un quotidiano esercizio personale e sociale. E d’altronde è per questo che abbiamo voluto qui restituire luce a quella lontana aurora portoghese e al più aureo dei suoi protagonisti.

di Riccardo Tavani

Print Friendly, PDF & Email