Asteroide Kabul, droghe e droni

Altro che mondo fuori dai cardini, di cui scrivevano nello scorso numero. Un asteroide s’è abbattuto sul pianeta, non provenendo dal cielo, ma dal sottosuolo stesso della Terra. Tale la massa gravitazionale di contraddizioni d’ogni tipo caricate giorno dietro giorno sull’Afghanistan in vent’anni di amministrazione occidentale che alla fine questa scheggia di popoli e rocce è implosa, collassata su sé stessa in un istante, al solo annuncio del ritiro straniero. Vano e prolisso sarebbe ora tentare di dipanare l’immane groviglio intessuto laggiù. Groviglio che ritroviamo pari in pagine e pagine di contraddittorie, opposte interpretazioni su giornali, social, tv. Una sola cosa è certa: le conseguenze dell’impatto sulla superficie planetaria si amplieranno e faranno sentire per anni e in ogni campo dell’agire umano.

Seguendo gli accordi di Doha, conclusi tra Arabia Saudita, talebani afghani e Trump, l’attuale presidente Usa Biden ha detto sì di ritirarsi dal terreno fisico, ma non esattamente di mettere fine guerra. Già il 15 aprile scorso il New York Times titolava: “Come gli Stati Uniti programmano di combattere a distanza, dopo il ritiro delle truppe dall’Afghanistan”. La stessa cosa, d’altronde, il Dipartimento di Stato americano lo aveva precisato in merito al ritiro dalla guerra nello Yemen. Il 5 febbraio in una sua nota ufficiale si afferma: “È importante sottolineare che ciò non si applica contro l’Isis o al Qaida nella Penisola Arabica”.  Tale linea di Biden non è di oggi, ma proviene dai tempi della sua vice-presidenza sotto Obama. Già allora aveva tentato di farla adottare al suo capo e allo strapotente complesso industriale-militare Usa. Quest’ultimo, però, non ne ha voluto sapere, per l’incalcolabile peso degli interessi economici in gioco. Obama, però, in parte lo ha convintamente accontentato. Dichiarò infatti: “Rivolgeremo la nostra attenzione contro coloro che vogliono ucciderci e non le persone tra cui si nascondono”. Cinquemila sono le persone fatte ammazzare nel mondo durante l’amministrazione del Nobel della Pace Barack Obama. Vere e proprie esecuzioni extra legali, senza uno straccio di prova e di processo. La maggioranza dei giustiziati a mezzo droni sono state proprio persone completamente innocenti, del tutto estranee, non coinvolte con chi si voleva singolarmente colpire.

Biden sta rimettendo a punto e rilanciando su grande scala tale strategia. E la strage all’aeroporto di Kabul gliene ha fornito immediatamente l’occasione, con due esecuzioni via droni. Sarà così una specie di war game in super consolle, una gigantesca dad, didattica a distanza a suon di Big Stick, Grande Bastone elettronico che può arrivare dappertutto.  Persino dal display di uno smartphone si potranno spiare gruppi, seguire i movimenti di persone, manovrare e far sganciare ordigni a droni e bombardieri a lungo raggio, colpendo non chirurgicamente, ma ‘ndò cojo cojo. Eppure le conseguenze immediate di tale strategia sono ben note agli stessi servizi segreti e strateghi militari: un aumento dell’avversione antiamericana tra le popolazioni colpite, con conseguente ingrossamento delle milizie fondamentaliste. Allora è certo che la guerra infinita, tanto vituperata a parole, resta in realtà l’unica e ultima risorsa del potere mondiale sul pianeta.

Sì sa che la coltivazione di papavero e la produzione illegale di oppio è stata la maggiore, se non esclusiva risorsa economica dei Talebani per finanziare le loro operazioni. Produzione diretta, da quando dopo l’abbandono dell’Urss. hanno capito che era meglio assumerla in proprio, anziché limitarsi a chiedere tangenti a produttori e trafficanti privati. Specularmente alle dichiarazioni Usa di fine della guerra infinita, hanno anche loro solennemente decretato la fine dell’eroina infinita. Vediamo. Il 23 agosto scorso Roberto Spagnoli, nella sua rubrica La nota antiproibizionista, su Radio Radicale, riassume i dati dell’Onu e di altre Agenzie. In Afghanistan il settore agricolo è pari al 20% del Pil, occupando però il 50% della popolazione lavorativa e producendo il 60% del reddito nazionale. Tra le attività agricole, la coltivazione di papavero per oppio è la prima al mondo. Nel 2020 è crescita del 37% su una superficie complessiva di 220.000 ettari, diffusa in 21 delle 34 provincie nazionali. Nel 2017 si è toccato il record di circa 10.000 tonnellate prodotte, con un introito di 1 miliardo e 400 milioni di dollari. 

In questi ultimi vent’anni la coltivazione è quadruplicata, con una trasformazione prevalentemente a eroina e prevalentemente interna, ai fini di un maggior profitto da esportazione diretta. Tale esportazione impingua direttamente i grandi canali di spaccio internazionale di Ndrangheta, Cosa Nostra, Camorra, Mafia Usa, Cartelli Russi, Sud Africani, Indiani e con le organizzazioni terroristiche per finanziamento delle loro attività. Tutto questo non è stato minimamente scalfito dalle istituzioni internazionali in questi anni di amministrazione internazionali. Anzi, la dilagante e ampiamente tollerata corruzione governativa, insieme allo strapotere dei signori della guerra con le loro milizie armate, lo hanno incrementato, divenendo così anche dei principali carichi e cause di contraddizioni tra istituzioni e popolazioni, tribù, etnie.

Gli americani hanno investito 8 miliardi di dollari nelle politiche di eradicazione delle coltivazioni di papavero, ma l’attività illegale dei Talebani nel solo 2017 è stata pari a 6 miliardi e mezzo. Le quantità sequestrate in tutto il decennio 2008-2018 è stata del 5% della produzione del solo 2017. A fronte del blocco internazionale degli aiuti economici che erano già stati stanziati per l’Afghanistan, è davvero credibile che il nuovo governo rinunci agli enormi introiti garantiti da produzione e traffico illegale di oppiacei? Considerando, inoltre, che il paese conta due milioni e mezzo di tossicodipendenti, di cui 800.000 donne e 100.000 bambini, tra i quali il 40% consumatore abituale.

Parafrasando il Don Giovanni di Mozart e Da Ponte si potrebbe intonare: “Madamina il catalogo è questo delle guerre che amò il padron mio”. Guerre infinitamente drogate con oppio e droni.

di Riccardo Tavani

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