IDEOLOGIE E PRATICHE DI CONSUMO NELLA LETTERATURA SOCIOANTROPOLOGICA

“I nuovi strumenti di consumo hanno nettamente modificato, in vari modi, la natura dei rapporti sociali che avvengono nel loro ambito, poiché invece di interagire con altre persone, coloro che usano le cattedrali del consumo avranno maggiori probabilità di interagire con le cattedrali stesse e con le merci e i servizi che offrono”.  

(George Ritzer[1])

Il consumo è stato ampiamente studiato dal marketing, dalla sociologia, dall’antropologia e dalla pedagogia, discipline che hanno sviluppato modelli definiti per analizzare questo fenomeno che è non solo economico-commerciale ma anche socio-culturale.

In questo contesto, l’educazione può giocare un ruolo fondamentale, tenendo conto anche dell’orientamento che i mass media propongono alle masse, rappresentando correnti politiche ed economiche in cui l’essere umano ha perso la sua centralità.

Nella società postmoderna, infatti, “Le sfide tra i prodotti lasciano il posto alle sfide tra i significati, i messaggi, le percezioni intorno ai prodotti”[2] ed entra in gioco il concetto di “esperienza”, che assume una rilevanza particolare sia dal punto di vista dell’impresa –e quindi dell’uomo di marketing che pensa a delle strategie per ottenere consensi in ambito economico-commerciale– sia da quello del sociologo, dell’antropologo, del pedagogista e dell’economista, che cerca strumenti efficaci per comprendere i comportamenti di consumo.

Già nel lontano 2003, con Carù e Cova[3], si collegava l’esperienza del comportamento di consumo con il vissuto personale, spesso caricato emozionalmente, che si fonda sugli stimoli costituiti dai prodotti o dai servizi messi a disposizione dal sistema di consumo.

Quindi “esperienza” ed “esperienziale” sono termini usati per caratterizzare una serie di fenomeni: è esperienziale l’economia nel suo complesso; sono esperienziali le nuove politiche di marketing progettate per accrescere il coinvolgimento della marca; è esperienziale una particolare categoria di prodotto, ma anche un certo tipo di acquisto e di consumo.

Attualmente, il consumatore è molto diverso perché inserito in un contesto socio-culturale di riferimento a sua volta mutato. Come evidenziato da Fabris nel suo libro dedicato al consumo[4], quello che opera nella società è un “nuovo consumatore”, esigente, astuto, elitario, che sta totalmente riscrivendo il sapere sul consumo; un consumatore che cerca esperienze più che prodotti, emozioni e sensazioni più che valori d’uso, che genera modelli di consumo nuovi, versatili, complessi.

Il consumo diventa a tutti gli effetti un “linguaggio con una sua grammatica e una sua sintassi. Un linguaggio, pertanto, che occorre riconoscere e indagare partendo dalla conoscenza del contesto socioculturale in cui ha preso forma”[5].

A proposito di cambiamento di società, una delle annotazioni più efficaci del contesto in cui opera il consumatore è quella di Zygmunt Bauman, che parla di modernità liquida[6].

La “fluidità” rappresenta per Bauman la principale metafora della società: i liquidi, infatti, non conservano mai a lungo la propria forma e sono sempre inclini a cambiarla; si muovono, viaggiano con estrema facilità e leggerezza. Lo stato fluido destruttura, infrange il tradizionale ordinamento sistemico dell’età moderna, cambia gli scenari e impone un totale ripensamento delle vecchie nozioni di spazio, tempo, comunità, lavoro e individualità. Questa nuova condizione ha delle conseguenze nel campo del consumo: se fino a poco tempo fa erano la stabilità e l’affidabilità le dimensioni più apprezzate nella scelta dei beni, ora sono i valori, i significati che essi contengono ed esprimono a indirizzare l’acquirente su un prodotto piuttosto che su un altro.

Dunque, nella società postmoderna i prodotti-simbolo diventano una forma di linguaggio, un sistema autonomo che ha al suo interno regole e convenzioni specifiche. Proprio per questo motivo, scrive Fabris “Quella che un tempo era chiamata società dei consumi si sta trasformando adesso ‘nella società meno materialistica mai esistita’, nella quale ciò che si scambia sul mercato sono immagini, segni, messaggi e solo apparentemente prodotti”[7].

Cioè, quando si sta per comprare un’automobile la scelta non è orientata dalla funzione primaria di questo bene: quello che conta è l’insieme dei significati che l’automobile veicola.

Scrive Mary Douglas “E’ stupefacente scoprire che nessuno sa perché la gente vuole i beni (…) eppure duecento anni di riflessione sul tema hanno poco da dirci sul problema”[8].

Il consumatore è attento, animato da valori, desideri, gusti, bisogni, passioni, sentimenti, atteggiamenti condivisi. Ed è in queste distinte variabili che si inseriscono le valenze simboliche, sociali e culturali.

La natura paradossale dell’atto di consumo implica una grande libertà di azione, che se non modulata nei giusti termini, rischia di confluire in una logica propria dell’eccesso, in quella forma di iperconsumo di cui è afflitta la società moderna e che rischia, spesso, di trasformarsi in patologia.

Il consumo diventa alienazione perché il lavoratore non si riconosce più nei prodotti che egli stesso ha creato.

Il consumo è ostentazione, che allontana il principio di utilità e definisce chiare posizioni nella piramide sociale.

Il consumo è imitazione e moda nella metropoli contemporanea.

Il consumo diventa distinzione, “un’arma” sociale che affina il gusto.

Ed infine il consumo è un terreno bizzarro in cui una felicità apparente nasconde privazione e senso d’insoddisfazione.

Un susseguirsi di teorie per oltre un secolo e mezzo, segnano il passaggio dall’alienazione all’iperconsumo, dalla modernità alla postmodernità.

Il sociologo Morra[9] individua il susseguirsi di quattro tipi antropologici. Secondo l’autore l’alternarsi delle varie epoche ha visto come protagonisti dapprima l’homo sapiens, il primo uomo, che corrispondeva all’uomo greco, per il quale la società veniva intesa come comunità e in cui il rapporto con la natura veniva visto in senso cosmico. Poi si afferma l’homo religiosus, il secondo uomo, che coniuga la vita terrena con quella trascendente, non si trova più inserito nel cosmo, ma appare esiliato nel mondo ed è una rivelazione biblica. Il terzo uomo è l’homo faber, improntato ad una razionalità strumentale e alla rivendicazione dell’autonomia dell’agire, espressione tipica della modernità.

“Il cambiamento valoriale che inaugura l’avvento della società debole avviene negli anni Ottanta con la comparsa del “quarto uomo”. [10] Questo homo ludens sperimenta la caduta delle utopie moderne, la routinizzazione del progresso e l’espressività edonistica. Per la prima volta si diffonde una quotidianizzazione dell’estetico che induce un atteggiamento morbido e scanzonato nel rapporto con gli oggetti”[11].

Il comportamento del consumatore, possiamo dire insomma, è il risultato di un processo decisionale e di attività fisiche che si realizza quando si cercano, valutano, acquistano, usano beni e servizi per soddisfare i propri bisogni.

È essenziale (anche da un punto di vista pedagogico), capire quindi cosa lo motiva, come si pone nei confronti dell’acquisto, come utilizza i beni. Se i prodotti venduti si adattano alle esigenze del consumatore, come pure la fascia dei prezzi, il consumatore si riterrà soddisfatto e entrerà nella logica di ripetere l’acquisto, instaurando così un rapporto di fiducia.

La moda, secondo Simmel[12], rappresenta la divisione in classi della nostra società ed ha la doppia funzione di comprendere in sé un gruppo e nello stesso tempo separarlo dagli altri.

Tramite l’imitazione gli individui si inseriscono nel gruppo di riferimento, si adattano alle regole loro imposte, si deresponsabilizzano nelle scelte accettando i comportamenti vigenti. Ma la moda consente al singolo la possibilità di distinguersi all’interno della cerchia sociale di appartenenza. Le tendenze sociali, però, riguardano la dimensione esteriore della vita umana.

Douglas e Isherwood, inoltre, elencano l’idea di ostentazione accanto a concezioni semplicistiche dell’utilità: “La letteratura scientifica sul consumo tende a ipotizzare che la gente acquisti beni in vista di due o tre obiettivi ben delimitati: benessere materiale, benessere psichico e ostentazione. I primi due sono bisogni personali dell’individuo: il bisogno di nutrirsi, vestirsi e avere un riparo e quello della pace dello spirito e dello svago. Il terzo, invece, è un termine estremamente generico che include tutte le domande poste dalla società”[13].

La pulsione ad acquistare o possedere beni materiali deriva da alcuni aspetti dell’inconscio che spingono gli individui a utilizzarli per affermarsi, distinguersi, omologarsi, farsi accettare dallo strato sociale a cui appartengono o nel quale desiderano inserirsi.

Questi comportamenti vengono intercettati dai produttori e dai commercianti di alcuni beni per spingere sempre nuovi e più costosi consumi dove il valore intrinseco del bene proposto è inferiore al prezzo richiesto. In molti casi proprio il prezzo elevato è – di per sé stesso – una componente del valore e quindi della qualificazione sulla condizione sociale apparente del detentore o dell’utilizzatore.

Quale differenza effettiva di valore intrinseco può esserci tra un vestito che costa 100 euro e uno da 5.000 euro, oppure tra un orologio da 100 euro e uno da 10.000 euro? Entrambi i tipi di oggetto assolvono, più o meno bene, la loro funzione fondamentale. La vera differenza sta nella moda, nella notorietà, nell’esibizione, nella sicurezza che può infondere agli altri la percezione della propria agiatezza, consistente facoltà economica di poter acquistare un oggetto molto costoso. Lo status symbol assolve quindi una funzione simbolica.

Quindi la qualità come indicatore di rango sociale, come ci ricorda la Douglas: “Il pane è una necessità per tutti, ma in virtù della elasticità dei redditi esistono qualità di pane di lusso, e persino patate di lusso. Quando la società è stratificata, i lussi dell’uomo comune possono divenire le necessità quotidiane delle classi superiori. Per quanto riguarda le classi sociali, la periodicità dell’uso non solo divide dagli altri i beni di classe superiore, ma serve anche a contrassegnare le differenze tra classi di persone”.

di Francesca Mara Tosolini Santelli


[1] G. Ritzer, “La religione dei consumi”, Il Mulino, Bologna, 2000.

[2] Furlò Maria Chiara (a cura di), “Il marchio di qualità migliora la percezione di prodotti e servizi”, Italia Oggi, 25 marzo 2013.

[3] Carù A., Cova B. “Esperienza di consumo e marketing esperienziale: radici diverse e convergenze possibili”, in Micro e Macro Marketing, n. 2, agosto 2003.

 

[4] Fabris G., “La società post crescita. Consumi e stili di vita”, Egea, Milano, 2010.

[5] Di Nallo E., Paltrinieri R.,Cum sumo. Prospettive di analisi nella società globale”, Franco Angeli Edizioni, Milano 2006.

[6] Bauman Z., “Modernità liquida”, Laterza, Bari, 2011.

[7] Fabris G., “La società post crescita. Consumi e stili di vita”, Egea, Milano, 2010.

[8] Douglas M., Isherwood B., “ Il mondo delle cose. Oggetti, valori, consumo”, il Mulino, Bologna 1984.

[9] Morra, G., “Il quarto uomo”, Armando Editore, Roma, 1992.

[10] Morra, G., “Il quarto uomo”, Armando Editore, Roma, 1992.

[11] Dell’Aquila P., “La società debole dai post materialismi ai valori neo borghesi”. Relazione presentata al congresso su “Dove va la società italiana”- Dipartimento di Sociologia- Università di Bologna (30 novembre- 1 dicembre 1995).

[12] Simmel G., “La Moda”, Editori Riuniti, Roma (I ed.), 1985.

[13] Douglas M., Isherwood B., “ Il mondo delle cose. Oggetti, valori, consumo”, il Mulino, Bologna 1984.

 

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