Pascale Molinier e i suoi studi sulla cura del corpo

«L’etica della cura è un’etica delle relazioni e la cura è un corpo a corpo, non è una fiera delle buone intenzioni, un programma di carità, né una morale dei buoni sentimenti»: Pascale Molinier, docente di psicologia sociale all’Università Sorbonne Paris Nord, ha partecipato domenica 12 settembre, con Annarosa Buttarelli e Sandra Morano, all’evento del Festivaletteratura di Mantova: La democrazia salvata dal «prendersi cura».

Il gruppo di ricerca sulla cura di cui fa parte da anni insieme a Sandra Laugier, Patricia Paperman e altre studiose femministe francesi, ribadisce da sempre che la cura è un dispositivo di analisi che mette in luce diverse forme di discriminazione: di razza, di classe e di genere. Ci si chiede come può trasformarsi in uno strumento di democrazia.

Pascale Molinier, in un colloquio prima della sua partecipazione a Mantova, risponde alle domande che le vengono fatte da lettori e giornalisti per dissipare ogni dubbio di interpretazione.

«La cura è una prospettiva, un modo di guardare la società, ne esistono molte, quella della cura prevede che ci si domandi chi fa cosa per chi. Per questo, la cura fa emergere la condizione esistenziale del bisogno e pone l’attenzione su coloro che di solito vengono trascurati: gli anziani, i disabili, le persone vulnerabili, nonché su chi se ne occupa. È uno strumento per modificare le priorità della politica, che spinge a intervenire sulla quantità di tempo, di attenzione, di fondi destinati alle persone che sono in una condizione di dipendenza.

Inoltre, molto spesso i e le care workers sono a loro volta in una condizione di vulnerabilità: economica, politica, culturale. La prospettiva politica della cura prevede che queste persone vengano ascoltate, rispettate, giustamente retribuite e integrate».

La Molinier è anche autrice di un testo fondamentale nell’ambito dei «care studies», «“Care”: prendersi cura. Un lavoro inestimabile» (Moretti & Vitali, 2019, traduzione di Alice Guareschi). Si tratta di una ricerca che ha condotto nei dintorni di Parigi, in una struttura per anziani. Nel testo, a partire da un costante confronto con le «care-workers» racconta della loro fatica fisica, dello sfinimento psicologico, delle difficoltà relazionali coi pazienti e i familiari, infine dei confini labili tra la cura, il sesso e l’amore. A partire da questa analisi complessa e completa scrive: «la cura è ambigua».

Perché è importante tenerlo sempre bene a mente?

«È un contesto relazionale caratterizzato da una forte intimità, dalla nudità, dalla presenza degli odori, degli umori, è carnale. E in questo contesto si creano dei legami affettivi: qui c’è un primo livello di ambiguità. La visione manageriale dominante impone che bisogna mantenere le distanze per essere professionali, ma non è affatto vero e poi una delle caratteristiche e dei rischi della cura è che è difficile fare un buon lavoro senza sviluppare dei legami. Le assistenti personali della struttura per anziani mi ripetevano che bisogna amare i propri pazienti per resistere alla fatica, per dare un senso a quel lavoro.

L’attrazione sessuale fa parte dei rischi del mestiere: è una questione particolarmente complessa, ma non si può eliminarla, bisogna elaborarla, senza tabù e senza apprensione. Il corpo a corpo suscita eccitazione e può generare violenza, tentativi di appropriazione del corpo dell’altro, una gamma di emozioni e sensazioni che va dal desiderio al disgusto. Penso che sia davvero importante deconcentrarsi da se stesse e interessarsi all’altro, rispetto ai propri bisogni e ai propri interessi. Non si può fare il lavoro di cura senza interessarsi alla differenza altrui, per esempio: è necessario per capire di cosa abbia bisogno l’altro, perché le persone sono molto diverse le une dalle altre, anche se soffrono della stessa patologia.»

In tutto questo c’è chi sostiene che, se nel sistema dominante gli interessi economici sono in contrapposizione con la manutenzione e la salvaguardia del vivente, vuol dire che il capitalismo così come attualmente lo conosciamo non è compatibile con la democrazia. Di sicuro si può dire che ci sono molte definizioni di democrazia, anche se noi facciamo sempre riferimento a quella occidentale. Riformarla significa sottrarsi all’egemonia finanziaria e far intervenire nell’azione politica imperativi morali, come l’attenzione e la preoccupazione per gli altri, trovare attraverso questa strada una forma di compromesso. In questo contesto, la cura non sarà solo un lavoro, ma deve essere intesa come un processo, uno scenario politico-filosofico.

Pascale Molinier sta lavorando da anni in Colombia con delle cooperative di infermiere fondate su una visione comunitaria della democrazia, in cui le persone si organizzano per darsi attenzioni mutuali. Si tratta di sistemi di cura integrali autogestiti, quasi interamente autofinanziati, attraverso un insieme di scambi, di banche del tempo. Sono realtà molto sofisticate, difficili da realizzare, che rappresentano delle utopie democratiche, la creazione di realtà abitabili dalle persone vulnerabili.

E forse è questo modo di vedere le cose che può permettere a chi ha bisogno di cure di poter contare sulla presenza, sulle attenzioni, sulla disponibilità altrui. In una realtà in cui tutti sono a disposizione di tutti si viene a creare quella vera solidarietà che non crea disuguaglianze o sudditanze.

Forse la vera democrazia del cuore.

di Stefania Lastoria

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