Transizione ecologica: una necessità non rinviabile

Il nucleare non deve essere un tabù, soprattutto ora che si stanno affacciando nuove tecnologie, più sicure ed economiche. Lo ha affermato recentemente il ministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani, suscitando una prevedibile querelle, acuita dai pesanti apprezzamenti del ministro nei confronti degli ecologisti, accusati di essere in buona parte pericolosi radical chic (“il mondo è pieno di ambientalisti radical chic… oltranzisti ideologici… sono peggio della catastrofe climatica verso la quale andiamo sparati”).

Queste affermazioni sono state fatte e poi, come sempre, mitigate da una parziale retromarcia. Il ministro ha rivendicato di essere un tecnico chiamato dalla politica (“mi ha chiamato Draghi”) per le sue competenze, ma in realtà le sue sono dichiarazioni meramente politiche: non c’è nulla di tecnico nell’affidarsi ai futuri sviluppi della scienza e nell’offendere grossolanamente chi ha il torto di non essere d’accordo, che anzi è tipico della peggior politica. D’altra parte, Cingolani non è propriamente al di sopra delle parti: fino all’incarico ministeriale è stato dirigente (Chief Technology & Innovation Officer) di Leonardo, ex Finmeccanica, che ha forti interessi nel campo nucleare, ed è considerato politicamente vicino a Renzi in ragione delle sue partecipazioni alle “Leopolde”.

Purtuttavia, il discorso va preso sul serio: in un mondo minacciato dai gas serra il nucleare è un’opzione da considerare, forse un rischio minore rispetto alla certezza di un imminente cataclisma climatico: non può essere tabù riflettere sull’argomento, in questo il ministro ha perfettamente ragione.

Giustamente Cingolani non parla del nucleare di oggi, che si sta rivelando troppo costoso per essere un’opzione sensata, a prescindere dalle legittime preoccupazioni per la portata catastrofica di eventuali incidenti e dal problema delle scorie, ancora irrisolto. Parla del nucleare del futuro, della cosiddetta quarta generazione di centrali, più piccole ed economiche, a sicurezza intrinseca, cioè non dipendente dal fattore umano o da meccanismi esterni. Fatto sta che questo nucleare oggi non esiste ancora. La previsione (e le previsioni non sono certezze) è che possa essere operativo tra una ventina d’anni.

Altre voci “tecniche” prospettano l’avvento delle centrali a fusione nucleare, che sarebbero assolutamente pulite e sicure, perché non adoperano materiale radioattivo. Ma il tempo di sviluppo per questa tecnologia è prevedibilmente ancora più lungo: si parla del 2050, ma anche questa è una previsione, non una certezza.

Sono discorsi per molti versi condivisibili, ma purtroppo ci stiamo confrontando con una “emergenza climatica” (secondo il documento dell’Intergovernmental Panel on Climate Change dell’ONU, 2021), una “catastrofe climatica verso la quale andiamo sparati” (e queste sono parole del ministro). Il compito del ministero per la transizione ecologica è di iniziarla ora, questa benedetta transizione, non tra 20 o 30 anni. Sarebbe stato più interessante che avesse detto quali sono le misure da attuare da domani e per i prossimi due decenni. Poi certamente avremo altri mezzi tecnologici, ma non possiamo certo star fermi nell’attesa.

Finora, qualcosa di buono è stato già fatto. Per esempio, il 37% dell’energia elettrica è prodotta da fonti rinnovabili, che equivale a un 20% del consumo energetico complessivo (comprendendo trasporti e termico). Tra l’altro, i costi delle rinnovabili sono crollati rispetto a 10 anni fa, rendendo più sostenibile la spesa, posto che non valga la pena anche di spendere qualcosa in più per salvare il nostro futuro, con buona pace degli appassionati del fattore economico (quelli sì che “sono peggio della catastrofe climatica”, a mio modesto parere). In attesa o in alternativa al nucleare c’è ampio margine di miglioramento, continuando su questa strada.

Un altro capitolo attuale è quello del risparmio energetico, che gli ultimi governi hanno cercato di incentivare con i vari bonus e super bonus. Ma qui i numeri non sono egualmente incoraggianti: fino a febbraio era stato utilizzato solo il 2,3% del super bonus per le case, e si prevede che entro il 2022 non supereremo il 19%. Davvero una miseria, che dimostra come sia necessario cambiare qualcosa nel suo meccanismo. Si calcola, infatti, che le politiche di risparmio energetico possano fruttare una riduzione del 25-30% dei consumi.

Né dobbiamo dimenticare l’importanza del contributo della natura alla riduzione della CO2: un ruolo che le foreste stanno già perdendo (Stampacritica 16/21) ed è minacciato negli oceani, e che deve essere al più presto ripristinato.

Probabilmente nell’immediato serve un insieme articolato e complesso di provvedimenti volti a ridurre (o a frenare) nel modo più rapido possibile il gas serra, ma ci sono voci più o meno esplicite che tendono a negare l’urgenza dei provvedimenti – per fortuna ormai nessuno più nega il problema in sé – prospettando l’attesa di soluzioni tecnologiche future, come il nucleare pulito o l’idrogeno. Non pochi interventi sui mass media vanno in questo senso e sostengono che una riduzione immediata del fossile frenerebbe la ripresa economica. Come se non fosse indispensabile agire subito per scongiurare l’irreversibilità del riscaldamento globale, eventualità non lontana secondo il già citato documento dell’IPCC dell’ONU. E come se l’emergenza climatica non avesse già un peso rilevante sull’economia di tutto il mondo e soprattutto dei paesi più poveri.  

Da questo punto di vista il discorso sul nucleare – o, per meglio dire, sull’attesa del nucleare – sembra inutile ed inopportuno, e desta il sospetto che serva a rinviare i provvedimenti più immediati di difesa dell’ambiente, forse invisi a qualche potentato economico interessato a rallentare la riduzione del fossile o a promuovere il nucleare. D’altronde non sarebbe la prima volta che potentati economici e politici interni ed esterni tentano di interferire con le scelte più impattanti del governo.

di Cesare Pirozzi

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