“La fiducia e la dignità. Dieci scelte urgenti per un presente migliore” – di Ece Temelkuran

Secondo la riverita giornalista turca Ece Temelkuran, la fiducia e la dignità sono le ricette “per un futuro migliore”: ma davvero potranno funzionare nella giungla dell’odio in cui viviamo oggi?

La crisi che stiamo attraversando ha bisogno, per esser interpretata e arginata, di un libro come “La fiducia e la dignità” di Ece Temelkuran, costretta, purtroppo, a girare al largo dal dominio del sultano, libro in Italia tradotto e sistemato sugli scaffali da Bollati Boringhieri. Ci poniamo la domanda di fronte all’impegnativo sottotitolo: «Dieci scelte urgenti per un presente migliore». Ebbene, qui si produce «un presente migliore». Siamo dunque di fronte ad un prontuario dichiarato per domare difficoltà come guerre, carestie, crollo del capitalismo, miseria diffusa, pandemie, fanatismi, sovranismi, populismi e molto altro?

E siccome il nome di Ece Temelkuran è poco conosciuto ai più, ci ritroviamo in una situazione perfetta per leggere senza preconcetti e pregiudizi.

E quanti di noi non sarebbero ben disposti, aperti e speranzosi di fronte alla proposta di un analgesico delle nostre pubbliche e private sofferenze? Nel libro, poi, la parola Male scritta con la maiuscola sbuca a ogni voltar di pagina. Allora cominciamo a buttarci dentro queste pagine, in ogni parola, in ogni consiglio che diventa riflessione e dubbio al tempo stesso.

Primo capitolo e primo comandamento: «Scegliere la fede e non la speranza». A sgombrare subito il campo da sospetti di eccessive devozioni religiose tra cristiani o maomettani si chiarisce che l’autrice, con perentorio ostracismo, relega Dio, meschino, «nel regno della poesia e della teologia». Lei «non crede in Dio ma negli esseri umani». Proseguendo leggiamo che la fede è una barca di uomini, in fondo, bisogna servirla di remi e schiantarsi il filo della schiena. Ma a pagina 23 la barca va già a fondo. Quando l’autrice pronuncia la frase: «questo modo di credere nell’umano ci dà la capacità di creare bellezza, tutti i tipi di bellezza».

Qui viene l’idea, per non dire l’esigenza di verificare l’efficacia dei dieci comandamenti della Temelkuran sovrapponendoli alle disgrazie collettive di un mondo riempito da una nuova generazione di uomini dal cuore di pietra. Funzioneranno in questa giungla dell’odio allo stesso modo che nel mondo dell’autrice, fatto di incontri letterari, aeroporti e luminose redazioni di giornali? «Creare bellezza» potrà dare una mano ai somali che vivono da trent’anni nella guerra quotidiana? E per gli afghani di oggi può essere utile nell’era talebana il terzo ammaestramento, vale a dire «scegliere di farsi amica la paura»? La sharia con lapidazioni e burqa è leggermente più impervia del concetto di paura generica intesa in occidente.

I 33 milioni di afghani traditi da coloro che promettevano protezione e il paradiso della democrazia, consegnati ai loro vecchi e pazienti padroni talebani, forse non riusciranno a seguire fino in fondo il consiglio «l’unica cura contro la paura è banalizzarla collocandola in una prospettiva più ampia».

E così, senza entrare nella contrapposizione di ogni “scelta urgente per un presente migliore” con la realtà di dignità ferite di troppi popoli, cercheremo di indicare le principali teorie di Ece Temelkuran.

Nel suo libro lei parla di «scegliere la forza anziché il potere», di «distinguere il dolore buono da quello cattivo», di «scegliere la dignità invece dell’orgoglio».

Alla Temelkuran non piace la parola rivoluzione. Dice che evoca terrore e caos, «ha l’abitudine di distruggere vite».

Ci viene spontaneo pensare che senza rivoluzione e rabbia non si possa rovesciare la disperazione di milioni di uomini e donne sottomessi e privati di ogni forma di dignità, di ogni diritto umano. Crediamo che la violenza non si possa e non si debba arginare con altra violenza ma che la comunità internazionale debba fare qualcosa per salvare il mondo, con diplomazia, dialoghi, accordi, leggi. Che se tutto il mondo lo volesse nelle sue alte sfere, questo mondo sarebbe già salvo.

Ma arrivati a pagina 135 di questa ardua navigazione di consigli, ecco che la giornalista turca Ece Temelkuran ci dice: «alla fine emergerà una nuova esigenza di fortificare la parola più antica, una parola sopravvissuta a genocidi e guerre mondiali: amore».

Solo l’amore può salvare il mondo. Bello leggerlo e ripeterselo. Molti lo pensano… peccato che ci sembri una soluzione da favola tanto che lei stessa definisce la parola “amore” come una parola antica, sopravvissuta a genocidi e guerre mondiali. Un termine desueto specie oggi, negli ultimi anni in cui troppe cose abbiamo visto e sentito, troppa ingiustizia, mancanza di solidarietà, il predominio dei soldi e del potere sull’affettività, sull’umanità che manca.

L’amore forse può salvare tante cose nella nostra piccola sfera privata ma anche lì arranca e i fatti di cronaca spesso ce ne danno un esempio.

Che dunque l’amore possa salvare il mondo può sembrare impossibile, una pura utopia, un sogno, una fiaba ancora da scrivere.

di Stefania Lastoria

Print Friendly, PDF & Email