Elucubrazioni cicloalpinistiche

Ricordi di bambino; non avevamo granché, gli anni sessanta erano ancora troppo legati al dopoguerra, si lavorava molto e duro, ma nonostante tutto i nostri genitori hanno acquistato la casa e cresciuto tre figli. In questo contesto, io crescevo con i pochi giochi regalati per compleanni e Natali, senza chiedere mai, si giocava inventando con cartone, scotch e vinavil, la fantasia volava alto, si sognava di andare sulla luna con la scatola del pandoro in testa. Quei tempi mi hanno insegnato che tutto il resto è superfluo, l’importante è salute, lavoro, vitto e alloggio, ma vivendo poi negli opulenti anni ’80 ho dimenticato questo insegnamento, auto, motociclette, vestiti e vacanze. Poi crescendo ancora, piano piano senza estraniarmi dal contesto mi sono reso conto che come dicono gli americani “less is more”, che meno è più. Quando iniziai ad andar per montagne, tutto quello che pensavo necessario, lo dovevo portare in spalla. Il peso mi costrinse a pensare, e compresi che in fondo non avevo bisogno di tutto, e lo zaino si alleggerì. Poi nel 1990, nel mio primo viaggio in bicicletta, il concetto di leggerezza si scontrò con tutte le suppellettili necessarie. Ad oggi, spesso parto senza portare con me nemmeno un cambio di salopette, tenda, sacco a pelo, e un sacco di altre cose che nei miei viaggi precedenti avevo con me restano a casa.

Partendo da questi pensieri, ho ragionato in generale sulle nostre vite, senza smartphone e connessione, sky e automobile non sappiamo vivere e questo è un male, abbiamo le teste sempre impegnate da qualcosa, ogni minuto della nostra giornata colmo di social, messaggi, e-mail, al volante, a cena, mentre corriamo nel parco. E’ semplicemente pazzesco, non abbiamo più spazio per pensare, ragionare sulle cose che succedono, certo, non è che facendo gli eremiti le nostre vite migliorerebbero, ma il troppo stroppia, è come portare sulle spalle uno zaino pieno di cose inutili. Quello che abbiamo un po’ perso è la capacità di improvvisare, di trarci d’impaccio in ogni situazione con il poco che abbiamo. Pensiamo di dover prevedere tutto, anche l’imponderabile, ma portando tutta quella zavorra rischiamo di restare fermi al palo. Il moderno alpinismo, all’epoca delle imprese di Messner ha stravolto il metodo di approccio alle immense montagne Himalayane, le spedizioni si sono alleggerite di ogni orpello, niente corde fisse, due o tre giorni per la conquista della vetta, niente ossigeno e pochi alpinisti impegnati se non addirittura uno solo a tentare l’impresa. Spedizioni leggere che hanno consentito a Re Messner di conquistare tutti i 14 ottomila senza ossigeno, con una velocità di progressione che in quei luoghi remoti con meteo imprevedibile hanno permesso di tornare vivi a casa con il risultato in tasca.

Oggi le spedizioni commerciali che cercano di portare facoltosi pseudo alpinisti sul tetto del mondo, sono state costrette a ritornare ai vecchi schemi, corde fisse, campi avanzati alle varie quote con traffico insostenibile sulle vie normali, dove oramai giacciono alpinisti congelati a mo’ di pietre miliari. Ma tutto questo cosa c’entra con le nostre vite in città? Siamo appena passati attraverso un’emergenza sanitaria senza precedenti, e ci siamo di nuovo catapultati nelle strade con le nostre auto, intasandole e rendendo di nuovo l’aria irrespirabile. Eppure qualcosa è cambiato, quel simbolo di libertà che era l’automobile negli anni sessanta, ci costringe a ore di fila in mezzo a migliaia di altre auto incolonnate, questa non è più libertà, ma una prigione che ci siamo costruiti intorno da soli. Ecco che la bicicletta diventa di nuovo il simbolo della libertà, prima per diletto ed ora sempre più per necessità. L’era delle auto è oramai al tramonto, abbiamo bisogno di semplificare le nostre vite, spogliandoci di ogni orpello come novelli San Francesco, vestiti solo di ciò che è veramente indispensabile. L’elettrico, sta entrando prepotentemente nelle nostre vite, dapprima le biciclette, poi le auto, le motociclette, i riscaldamenti, i fornelli, tutto diventerà elettrico, produrremo energia da fonti rinnovabili per il contenimento delle emissioni di co2.

Tutto questo eliminerà dalla faccia della terra i motori a combustione interna, forse io non lo vedrò, ma i nostri discendenti, beneficeranno di aria più pulita mezzi più silenziosi, lasciando alle spalle la propria individualità automobilistica tipica della nostra epoca. Ora è il momento di prendere in mano carta e penna e progettare piste ciclabili per il turismo e per la mobilità cittadina, ben distinte tra loro per le differenti esigenze che le contraddistinguono. Saremo tutti più magri, in salute, con più tempo libero per noi e i nostri familiari, il tragitto mattutino sarà una sorta di gita in allegria dove le nostre batterie dell’anima si caricheranno per poi restituire sul lavoro un’energia che ad oggi invece chiusi nelle nostre scatolette di latta consumiamo già prima di arrivare.

Questa nostra Roma vivrà di nuovo l’epoca delle passeggiate sul lungotevere, all’ombra dei pini che il Respighi rese famosi in tutto il mondo, riprenderemo a parlarci “vis à vis” e a baciarci sotto un lampione e la luna da lassù fa capoccella.

O forse no?

di Roberto De Stefanis

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