La suora, la sposa e la puttana

Tre donne, una donna. Una donna, tre donne. La trinità del dolore. La trinità dell’amore. La suora, la sposa e la puttana. Uno spettacolo poetico, ironico e commovente. Agnese Fallongo e Tiziano Caputo, al teatro Quirino di Roma, rappresentano vicende intime e dolorose, impreziosite dai canti, dai dialetti e dalla mimica, in sincronia perfetta con i movimenti del corpo e delle labbra. Corpi martoriati, dalla guerra e dal fascismo. Corpi violentati dalle barbarie altrui, corpi mai sottomessi, sofferenti, non arresi agli eventi, sia bellici, sia familiari. Donne che scelgono l’amore sapendo di soffrire la scelta dell’amore. Donne, donne siano suore, spose o puttane, rivendicano con orgoglio la dignità di scegliere contro la normalità del maschilismo imperante che le vuole segregate e zittite. Donne che parlano, raccontano, ridono e piangono, trasmettendoci le emozioni sofferte dei loro amori mancati o non vissuti. Donne,  madri di figli altrui che altri non sono che i figli della loro “sorellanza”.

Altri non sono che i figli dell’amore non consumato di cui tutti ci sentiamo partecipi, mutilati o coinvolti.  L’energia rabbiosa della condizione di povertà e miseria, peggiorata da una guerra folle: la grande guerra del ’15-’18. Follia dentro la follia, propagandata come giusta dai megafoni con la voce del Duce, a cui solo la donna, suora, sposa e puttana, si ribella. La Trinità consapevole degli orrori e della sofferenza della guerra. Tre donne in una. Una donna in tre. Ma sempre con il cuore gonfio d’amore, da raccontare a voce alta oltrepassando i confini regionali di una divisione dialettale che non ha motivo di esistere se non per rimarcare una società maschilista tribale. È fascismo la violenza sulle donne. È fascismo volerle sottomettere. È fascismo la guerra che uccide l’amore, spezza i sogni e condiziona la vita. “A noi donne cosa resta se non piangere, aspettare…la guerra non si sposa con l’amore e io mi voglio maritare per amore…” un amore racchiuso in un bacio, durato tutto il giorno, dal mattino fino alla partenza del treno per il fronte. Il fronte di una guerra che bussa tutti i giorni alle nostre porte e ci fa perdere l’emozione dell’amore e ci fa rincorrere falsi miti fatti di egoismo e apparenza.

Una guerra quotidiana senza prigionieri, combattuta con l’odio contro il nostro prossimo, che siamo noi. Contro i nostri fratelli, che siamo noi. Siamo noi, così come siamo noi, di volta in volta, la suora, la sposa e la puttana. Unica entità capace di far vincere l’amore sulla violenza, la “sorellanza” sull’egoismo, l’accoglienza sul respingimento. Questo siamo noi, quando comprendiamo che per amare, con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutto noi stessi, dobbiamo essere suora, sposa e puttana, l’unica salvezza per essere Madre dell’amore che possiamo generare. Per essere figlie/i e spose di noi stessi, nella sacralità “profana” di ogni giorno. Ogni giorno è vita se la vita è ogni giorno. Nel dolore come nella sofferenza l’amore  ci dona il sorriso e il canto anche quando ci viene da piangere. Questa è la gioia perfetta. Questo è l’amore profondo. Questo è il sentirsi Suora, Sposa e Puttana. Ma a questo sentire forse non siamo pronti. Forse ancora non abbiamo fatto il salto oltre le apparenze e le appartenenze di genere. Forse ci sentiamo ancora incapaci di vivere l’amore nella pienezza della sofferenza e del dolore. Forse per sentirsi suora che sacrifica l’amore per abbracciare l’amore necessità di una forza spirituale tutta da scoprire. Forse per sentirsi sposa non sposa, che sacrifica la sua vita per essere sposa maritata per amore è con amore, dobbiamo vestire l’abito bianco tutti i giorni per vincere la guerra. Forse per sentirsi puttana, pur non essendolo, in un mondo di ladri, puttanieri e mercanti, dobbiamo ascoltare il cuore. Il nostro cuore che sussurra al cuore amato che la puttana non siamo noi, ma coloro che si vendono per un piatto di lenticchie per comprare il nulla, il veleno dell’amore che offusca il cuore. La suora, la sposa e la puttana incidono le nostre carni, svuotando gli eccessi, gli egoismi, le gelosie, le rabbie e i rancori e ci riconducono, tenendoci per mano, sulla scia della povertà condivisa, unica sofferenza in grado di trasformarsi in amore di “sorellanza” in amore. Semplicemente amore. Umilmente amore. Spiritualmente amore.

di Fabrizio Lilli e Claudio Caldarelli

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