Anton Ambroziak: La voce degli altri

Anton Ambroziak sa di essere considerato uno degli astri nascenti del giornalismo polacco. Si occupa di femminismo, istruzione e disuguaglianze economiche. Ma è anche uno dei volti della comunità transgender del paese.

Ha appena terminato un lungo articolo sulla scuola pubblica in Polonia. I risultati della sua inchiesta sono una doccia fredda per il ministero dell’istruzione considerato che, secondo un sondaggio condotto tra genitori e insegnanti, se solo potessero, più della metà dei polacchi preferirebbe mandare i propri figli a studiare in istituti privati.

Nel 2018 i suoi articoli sulle ingiustizie sociali gli hanno permesso di vincere un premio di Amnesty International. Oltre ad occuparsi di scuola, ha seguito l’evoluzione del femminismo polacco, le disuguaglianze economiche e gli scandali giudiziari del paese.

Un suo recente articolo svela il progetto di costruire una baraccopoli di prefabbricati alla periferia di Varsavia dove mandare gli “abitanti problematici” della città. Una sorta di ghetto, di “luogo oltre”, un posto per i “diversi”… strascichi di storia che già abbiamo letto, studiato, visto, sentito. Una storia che non poteva ripetersi mai più, una realtà che giace su un progetto di carta e follia.

Ambroziak, però, non è solo questo: è anche uno dei primi personaggi pubblici transgender della Polonia. Quando parla di sé usa i pronomi maschili e si definisce non binario. Oggi però preferirebbe essere riconosciuto più per il suo lavoro da giornalista che per la sua identità queer. “Ho già raccontato la mia storia”, sottolinea. “Se devo essere onesto non l’ho fatto nella speranza di far cambiare idea alla gente. L’ho fatto per il bene delle altre persone trans. Volevo che sentissero di non essere sole, di avere uno spazio all’interno del dibattito pubblico”.

La paura di Ambroziak è condivisa da molte persone della comunità trans che lavorano nel mondo delle arti in Polonia: non vogliono che sia considerato l’unico portavoce della loro comunità. Trovare un equilibrio è difficile. “Non voglio restare zitto sulle questioni che riguardano i diritti. E sono disposto a mettere in contatto i miei colleghi giornalisti con le persone trans che vogliono condividere la loro storia. Ma, personalmente, preferirei stare dall’altra parte della barricata: fare domande, ascoltare, indirizzare la conversazione. Voglio che il mio lavoro parli per sé”.

A giugno 2020 Przemysław Czarnek, ministro dell’istruzione e deputato di Diritto e giustizia, aveva dichiarato alla tv di stato che era “il momento di smettere di ascoltare tutte le fesserie sui diritti umani”, e che i polacchi che rifiutano l’eteronormatività non sono “uguali alle persone normali”.

Ambroziak in realtà non pensa di potersi definire un attivista. La sua è una resistenza silenziosa. Preferisce portare avanti quella che chiama una “guerriglia di sostegno” per gli adolescenti transgender, soprattutto quelli che vivono lontano dalle grandi città.

“Condividere le informazioni è fondamentale. I giovani spesso non conoscono i loro diritti. Spesso indirizzo alcuni giovani trans alla Fundacja Trans-Fuzja, un’ong di Varsavia che offre supporto. Parte del mio impegno è dedicato alle emergenze, ad esempio se un adolescente trans è buttato fuori di casa, la nostra preoccupazione immediata è quella di trovargli un posto in cui stare”.
Secondo Ambroziak internet ha creato nuove possibilità per i polacchi della generazione Z (ragazze e ragazzi nati tra il 1995 e il 2010) che si sentono lontani dalla narrazione dominante del “cattolico etero bianco”. Le comunità online hanno offerto solidarietà e assistenza, spesso aiutando le persone non binarie a trovare le parole per descrivere la loro esperienza.
Ma questa apertura ha creato anche nuove frustrazioni.

Una cosa particolarmente difficile da gestire per i polacchi della generazione Z è conciliare i messaggi di accettazione che trovano online con l’omofobia dominante nella società”, spiega Ambroziak. “L’accesso sempre più facile alle informazioni ha cambiato la mentalità dei giovani queer e tutto questo ha dato anche nuova forza all’attivismo polacco per i diritti lgbt.”

Agli occhi di molti polacchi – sostenitori del movimento e non – il nuovo volto dell’attivismo queer è quello di Margot Szutowicz, attivista non binaria arrestata ad agosto del 2020 con l’accusa di aver danneggiato il furgone di un militante antiabortista che mostrava degli slogan omofobi.

I tentativi d’impedire l’arresto di Szutowicz hanno spinto la polizia a una dimostrazione di forza senza precedenti. Sui social network sono state pubblicate immagini di manifestanti e passanti trascinati per le strade.

“Per molti polacchi Margot è un personaggio sconvolgente”, spiega Ambroziak. “Lei è diversa: non si preoccupa delle aspettative sul comportamento delle persone trans. Bestemmia, si veste come vuole e rivendica con insistenza i suoi diritti. Non è per niente umile ed educata”.
In un momento in cui gli attivisti lgbt si fanno sentire sempre di più, il lavoro di Ambroziak potrebbe passare in secondo piano. Ma in un certo senso quello che fa è altrettanto radicale. Il suo obiettivo è spostare l’attenzione dagli individui queer alla comunità lgbt, con la sua cacofonia di voci, esperienze e prospettive. In questo modo le riporta al ruolo di componenti del tessuto sociale, invece di presentarle solo come eccezioni.

“Non credo che il mio lavoro sia un’estensione dell’attivismo. Non è questo che dovrebbe fare il giornalismo. Cerco di dare voce a chi manifesta, ma anche alle persone le cui storie sono state trascurate”.

Ambroziak si descrive comunque come una persona “allergica alla mancanza di libertà”. “Di sicuro il mio è un giornalismo impegnato, chi lavora come me nella redazione di OKO.press si schiera contro la falsa obiettività dei mezzi d’informazione più diffusi, che forniscono una piattaforma alle visioni discriminatorie, non scientifiche ed estremiste in nome dell’‘equilibrio. Noi siamo diversi. I diritti umani e le istituzioni democratiche sono il nostro punto di partenza”.

Lui, come molti, spera che si possano portare le voci degli emarginati al centro del dibattito politico e che questa rivoluzione sulla dignità possa creare un forte sentimento di unità che sia forte e risolutivo.

di Stefania Lastoria

 

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