Il diario di tre giorni su un viaggio di vent’anni

Circa vent’anni fa il famoso scrittore italiano Gianni Celati ha poco più di sessant’anni. Chiede al più giovane e meno famoso scrittore Paolo Morelli, cinquantenne appena, di accompagnarlo in un viaggio nel sud d’Italia. Scopo: un reportage commissionatogli da una rivista. Morelli accetta l’invito, sia per amicizia verso l’illustre scrittore, sia per provare l’esperienza, per lui inedita, di tenere un suo diario itinerante. In viaggio con Gianni, Celati, è il più che sintetico resoconto di quel fallito movimento a due verso meridione. Sfrigolante corto circuito diaristico che Morelli consegna alle stampe soltanto oggi. Tic Edizioni, costatando che l’arco voltaico scoccato allora ha mantenuto intatto il sinistro azzurrognolo di allora lo affida alla sua collana ChapBoooks, con una gouache acquerellante di Enrico Pantani che prende copertina, retro e smilzo dorso. Smilzo perché l’opera si compone di appena cinquantatré pagine.

La prima riga della premessa precisa che l’autore si era preparato all’impresa rileggendo Don Chisciotte, svelando così lo spirito con cui si preparava ad affrontarla. Per renderlo ancora più chiaro Morelli pone in epigrafe questa lapidaria frase di Franz Kafka: La disgrazia di Don Chisciotte non è la sua fantasia: è Sancio Panza. Ai tempi di Cervantes, però, non c’era il cinema. Ci fosse stato, certamente anche Sancio qualche film lo avrebbe visto con la sua amata Teresa. Con il risultato che il nobile hidalgo non avrebbe più avuto il monopolio non solo della fantasia, ma anche della critica del gusto. Immaginiamola secondo questa ipotesi controfattuale la fine del secondo giorno del viaggio che aveva avuto appena inizio tra i monti dell’Abruzzo. La sera del 12 maggio la pagina del diario di Morelli riferisce di una cena finita con un iniziale dissenso, che diventa diverbio, che esplode quasi in rissa tra lo scrittore C. e il suo scudiero di viaggio Sancio Paolo. Oggetto della disputa: Woody Allen. E senza qui entrare nei termini specifici della sempre più sconquassante tenzone tra i due, non si può però omettere un inquietante particolare. Sancio, era uscito dalla locanda e si era affacciato al parapetto di un punto panoramico aggettante sul vuoto sottostante. Girandosi istintivamente, vede il nobile cigolante hidalgo alle sue spalle, ricevendo la sensazione che gli stesse follemente piombando addosso.

Parafrasando il Dante di Paolo e Francesca, Morelli avrebbe potuto concludere il suo diario fallito, anzi, fracassato in appena due giorni, annotando: “Quel giorno più non vi scrivei avante”. Non lo fa, però. Abbandonando il posto e lo scrittore C. più velocemente che poteva per rientrare a Roma, la notte si getta a capofitto in un funambolico racconto che termina il 13 maggio senza mai staccare la penna da ancora un po’ di quelle tante pagine rimaste bianche, rabbiosamente orfane del viaggio. Un Sancio Panza redattore di una scalcagnata rivista turistica, scrive di viaggi in meravigliosi posti sconosciuti ai più, contribuendo così a farli diventare meta di un devastante turismo di massa. Non potendo fare a meno di viaggiare e raccontare, decide allora di scrivere cose falsamente orrende, ripugnanti sui nuovi luoghi visitati e le persone incontrate, lasciando la firma allo stomachevole hidalgo direttore della rivista. Fallendo ancora nel suo intento di proteggere i luoghi, sperimenta allora altre variazioni, intonazioni, distorsioni, seduzioni di scrittura che non sono altro che vertiginosi, ipnotici esercizi di stile a mezzo dei quali Morelli ci avvince, ci avvolge in spirali che scendono sempre più in profondità di sapido senso esistenziale e letterario.

Uscendo da un tunnel lungo vent’anni, quei tre giorni di diario e quel racconto si sono così impreziositi dell’eco di tutto il buio e il silenzio che li ha custoditi fino a oggi, per riconsegnarceli ancora più ricchi al piacere della lettura.

di Riccardo Tavani

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