L’elmetto della guerra e il raggio della civiltà

L’Europa ha indossato l’elmetto. Ha deciso – insieme agli Usa – di armare l’Ucraina, facendo di quest’ultima solo un teatro indiretto di guerra per un sostanziale confronto bellico contro la Russia. Ora la ricerca di una mediazione di pace diventa veramente difficile, se non impossibile. Si è invocata Angela Merkel, quale unica angela politica dantescamente venuta da cielo in terra a miracol mostrare. La Germania, però, è divenuta la capocordata mondiale del sostegno finanziario bellico all’Ucraina. Infrangendo, soprattutto, il suo impegno a non riamarsi e a non riarmare alcuna nazione, considerato che il precedente ingente armamento ha condotto l’Europa nel baratro della seconda guerra mondiale e di quell’immane sterminio e pulizia etnica passata sotto il nome di Shoah.

Oggi la Germania riunificata e in via di nuovo armamento non può che rinvangare quell’orrido spettro. Una potenza economica, industriale, manifatturiera, che occupa egemonicamente il centro geopolitico del Continente, con popolazione che – dopo la riunificazione – raggiunge gli 84 milioni di persone, ci rammenta solo una tragica, amara, ma inevitabile verità. Essa fu spezzata in due – Germania dell’Ovest e Germania dell’Est – e dislocata nei due campi strategici opposti – Usa ed ex Urss – proprio per impedire che la sua potenza industriale e demografica si configurasse di nuovo come incontenibile potenza militare. Come potrebbe Angela Merkel realisticamente accreditarsi quale mediatrice super partes, dopo questa azzardata mossa del nuovo governo tedesco dentro la cornice della scacchiera bellica?

Scrive il filosofo Emanuele Severino, nella prefazione a un suo libro del 1979, Téchne, riedito nel 2002:

“Credo di essere l’unico a sostenere, sin dal 1989, che, sia pure continuando in forma diversa, il bipolarismo – cioè la competizione tra USA ed ex-URSS – non è mai venuto meno. E il motivo è che non è mai venuta meno la capacità dell’arsenale nucleare russo di competere con quello americano. Non si è capito cioè che la fine del socialismo reale non era la fine di quell’apparato tecnologico che all’Est avrebbe dovuto salvaguardare il socialismo marxista, ma che, per salvare la propria capacità competitiva rispetto all’Occidente, ha finito col togliere di mezzo l’intralcio costituito appunto dal marxismo.”.

Ecco qual era e resta per l’Europa il vero compito storico e progetto di futuro. Disinnescare, accompagnare al tramonto, pur rimanendo nel campo dell’alleanza nord atlantica, il vecchio, ma ancora vigente meccanismo dell’equilibrio atomico del terrore. Un compito per niente facile, al limite del puramente proibitivo, perché nessuna nazione, nessuno stato rinuncia impunemente alla propria potenza militare. Solo in questa, infatti, intravede, in maniera otticamente e spiritualmente aberrante, il desino dei propri popoli. Attorno a questo compito – esso sì autenticamente destinale – poteva però e può ancora configurarsi la direzione – e dunque l’assetto, l’unità politica – dell’Unione Europea. Assetto e direzione quale spazio permanentemente aperto di inedito orizzonte mondiale. Questo solo se gli Stati europei uscissero dalle loro vecchie pelli stracciate di trogloditi delle foreste e delle pianura, con clave, lance, mazze ancora nazionaliste, per quanto elettronicamente evolute.

La volontà di potenza in sé, infatti, è la vera follia, non il singolo pupazzo umano che viene a incarnarla, concretarla. Sarebbe troppo comodo addossare tale colpa a un singolo individuo. Così come fu comodo attribuire alla pazzia di Hitler la tragedia mondiale del secolo scorso, lo sarebbe oggi ancora di più fabbricando mediaticamente quella di Putin. È la potenza in sé, la quale – come in un poligono di contrastanti pesi e forze fisiche – esprime inesorabilmente una sua risultante, una sua dominante. Inutile continuare a illudersi del contrario, con richiami moralistici, umanistici, psichiatrico-caratteriali e comportamentali che non hanno nulla a che vedere con la portata della realtà in gioco e che rischiano anzi di aggravarla.

Putin, nel suo discorso sullo scatenamento dell’attacco militare sul suolo ucraino, ha fatto un inquietante riferimento alla realtà sopra esplicitata nelle parole di Emanuele Severino. Il solo rischio di un evento atomico, per quanto dimostrativo e controllato, non potrà che coinvolgere in primo luogo tutta l’Europa. Il fall-out, la ricaduta delle radiazioni, come si sa scavalca ogni confine geografico e politico. Ne abbiamo avuto già un monito nel 1986 con l’incidente, proprio in Ucraina, nella centrale nucleare di Černobyl’, località che i russi hanno singolarmente rimesso sotto il loro controllo.

Non è certo, però, all’ombra di tale spauracchio atomico, che l’Europa dovrebbe impostare e dipanare il suo disegno di superamento del micidiale equilibrio del secolo scorso. Al contrario. Essa, infatti, fu levatrice nella Grecia antica di una formidabile nuova possibilità della parola e del pensiero che si tradusse nella civiltà in cui ancora viviamo. Così oggi solo dall’Europa può scaturire una nuova luce di civiltà. Fosse anche nell’ultimo stupendo raggio del suo tramonto.

di Riccardo Tavani

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