Russia – Ucraina. Ai tavoli di guerra le donne non ci sono

In questa guerra di cui nessuno avrebbe voluto sentir parlare, le cui immagini nessuno avrebbe voluto vedere, risulta subito evidente che attorno ai tavoli di guerra russi e ucraini, le donne non ci sono.

Sono tutti uomini i delegati che tentano di negoziare una tregua, solo uomini anche nei consigli di guerra che si svolgono a Mosca. E così si susseguono immagini di generali con le mostrine, dirigenti dei servizi segreti, consiglieri di strategia politica.

Eppure in questo conflitto anacronistico nei tempi e antico nei modi ci sono straordinari volti e storie di donne, nell’uno e nell’altro fronte, che combattono a mani nude, solo con la forza dell’amore e della vita.

Gli uomini decidono la guerra ma ogni soldato è stato partorito e allevato da una madre.

Così vediamo video in cui una madre russa dialoga disperata al cellulare con il figlio, soldato ragazzino mandato al fronte senza sapere il perché e fatto prigioniero dagli ucraini. Ucraini che non gli negano un pasto caldo e quella chiamata con la madre. Una scena straziante, lacrime che scendono sul volto del ragazzo, nel gelo di questo febbraio ucraino.

O ancora un’altra madre che leggerà su Whatsapp le ultime parole del figlio prima di morire: «Mamma, sono in Ucraina. Questa è una vera guerra, è così dura» e maledirà chi lo ha sottratto al suo abbraccio.

Un’altra donna incinta al nono mese di gravidanza, fuggita da Kiev sotto le bombe e che dopo due giorni di viaggio, ha messo al mondo la sua bambina.

E ancora un’altra mamma, che aspetta rassegnata le bombe nel suo appartamento di Kiev perché è impensabile portare in un bunker sotterraneo il figlio affetto da Sindrome di Down.

Ci sono poi le infermiere dell’ospedale pediatrico Okhmadet di Kiev, che nei sotterranei continuano a infondere cure e speranza ai bambini malati di cancro. E poi ancora la giovane con tre bambini, che saluta con occhi pieni di lacrime e il cuore spezzato il marito, loro salgono sul treno verso la Polonia, lui va a combattere e chissà se e quando si rivedranno.

Però, tra tutte, tra i tanti volti femminili, c’è quello dolcissimo della piccola Polina, la bimba con il ciuffo rosa che mai diventerà donna perché è stata falciata dalle bombe insieme ai genitori e al fratellino.

Una famiglia distrutta.

Perché gli uomini decidono la guerra ma le donne e i bambini pagano il prezzo più alto.

Certo, ci sono donne tra i combattenti ucraini e russi, abbiamo visto bambine preparare bombe molotov nelle città minacciate per fronteggiare i cannoni nemici, rudimentali contributi alla difesa della patria.

E anche questo legame con la propria terra è per noi a tratti inspiegabile e allo stesso tempo fonte di orgoglio, perché c’è gente che già vive da anni in tranquille città europee per lavorare e sostenere la famiglia ma che non esita a ripartire per l’Ucraina. E’ estremamente forte il senso di dovere che sentono nel difendere la loro terra, la loro patria, il luogo in cui sono nati e in cui spesso hanno ancora famiglie e parenti.

Non esitano sapendo bene a cosa andranno incontro.

Tornando però alle donne che con coraggio cercano di rassicurare i loro figli, alle donne fonte di grande forza e determinazione, torniamo a dire che non ci sono loro nelle stanze in cui tutto si decide, non nei lunghi tavoli maschili dove l’umanità sofferente non conta e contano solo i territori controllati, le armi usate, i nemici catturati, i confini disegnati.

Nei primi dieci giorni di guerra abbiamo conosciuto innumerevoli esempi di quell’energia vitale femminile che è l’antitesi dell’energia distruttiva di chi vuole combattere e uccidere e fare prigionieri. Donne che inseguono ancora e sempre la vita, rifuggendo la logica disumana della violenza.

Perché sono le donne che portano la vita, sono loro le più forti, le più determinate ma necessariamente le più “umane”. Le donne portano vita e pace, solidarietà e speranza, pulsa in loro un’istintiva necessità di porgere la mano a chi soffre. Fa parte del loro essere madri, che lo siano veramente oppure no. Si può essere madri in tanti modi, anche senza aver mai partorito.

E allora, ci sembra doveroso dedicare a Polina la festa della donna dell’otto marzo 2022. Non solo a lei, alle donne ucraine, alle mamme russe.

Tutte assenti ai tavoli in cui si decide la guerra ma presenti dovunque la si subisce, con il cuore già rivolto al ritorno a casa, a quell’abbraccio da ritrovare e da dare, alla ricostruzione da avviare nelle città e nelle anime martoriate.

Con l’augurio che il giorno della donna sia, dopo la distruzione, un giorno di pace. E con la fervida certezza che se a quei tavoli istituiti per negoziare una tregua ci fossero state delle donne, tutto quello che stiamo vedendo e vivendo in questi giorni, non sarebbe mai accaduto.

di Stefania Lastoria

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