REFERENDUM DI GUERRA

Con questa guerra in corso, quasi mi vergogno di affrontare un argomento diverso. D’altronde la guerra è cosa grave, non si può far finta di niente, con tutti i morti che provoca e il dolore dei sopravvissuti. Per non parlare dei bambini deportati in Russia con la scusa dei corridoi umanitari, per i quali già si parla di adozioni, perché in Russia ormai le parole hanno perso il loro significato, al di là delle differenze linguistiche. E per non parlare del surplus di inquinamento che la guerra produce, come se non ce ne fosse già abbastanza: non sappiamo quanto inciderà sul riscaldamento globale, ma le previsioni di ieri sono già indietro rispetto alla realtà di oggi.

Beh… però bisogna anche parlar d’altro, perché all’improvviso è già il momento di votare per i referendum abrogativi, e sono argomenti di non poco conto. La giustizia è anch’essa importante, nonostante la guerra. E anche per questi referendum c’è un vocabolario non molto corrispondente alla realtà.

Confesso di essermi sentito, all’inizio, molto perplesso: d’istinto si potrebbe pensare che se una cosa non va troppo bene sia meglio cambiarla. Ed è certamente vero che le maglie della giustizia sono troppo larghe per mafie e altri pesci grossi, ma più strette per i pesci piccoli, e che la giustizia non è infallibile. Ma cambiarla come? E poi, cinque quesiti referendari non sono una cosa semplice, e i referendum dovrebbero essere semplici: Repubblica o monarchia, divorzio sì o divorzio no, come si faceva una volta.

Allora ho cercato di scavare un po’ più a fondo, ed ho scoperto alcune cose interessanti.

Prima di tutto, è interessante la storia di questo referendum, del tutto atipica.

Nel febbraio dell’anno scorso il partito radicale (Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito, come si dice adesso) annunciò l’iniziativa referendaria, Salvini decise di sostenerla e a luglio il Comitato Referendario iniziò a raccogliere le firme. Dopo aver dichiarato di averne raccolte 700.000 per ciascun quesito, cioè molto più del necessario, Salvini non le depositò, preferendo optare per una richiesta referendaria fatta da nove regioni, ovviamente guidate da maggioranze di centro destra. Mi spiego meglio: il referendum non fu presentato a nome dei cittadini italiani firmatari (le firme, anzi, sono scomparse nel nulla) ma a nome di nove giunte regionali di centrodestra. La differenza non è priva di significato e di conseguenze. Infatti, il comitato promotore ha perso il diritto a un rimborso di 2,5 milioni per le spese di raccolta firme, mentre soltanto i delegati regionali delle 9 regioni di centrodestra hanno titolo a organizzare spot elettorali e raccogliere sussidi per il referendum. I radicali, ovviamente, non avranno più voce in capitolo.

In sostanza, sembra probabile che la raccolta firme sia stata un flop, e che la rinuncia al rimborso sia stata una mossa inevitabile per nasconderlo. Comunque, a gestire la propaganda referendaria ci penseranno soprattutto i delegati regionali leghisti, visti i non pochi distinguo degli altri partiti del centro destra.

Ma veniamo ai quesiti referendari.

Il primo chiede l’abrogazione della legge Severino, che prevede “l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza per i parlamentari, i membri del governo, gli europarlamentari, gli amministratori regionali e locali che siano stati condannati in via definitiva per delitti dolosi o preterintenzionali, nonché per gli amministratori regionali o locali che, indiziati per l’appartenenza ad associazioni mafiose, siano stati destinatari di una misura di prevenzione, disposta con provvedimento definitivo”.

Come si vede, la legge Severino non ha niente di giustizialista e non chiede la luna: chiede solo un minimo di rispetto per i cittadini che, forse, non meritano di essere rappresentati o governati da pregiudicati né da personaggi ufficialmente mafiosi. Come sovente si verifica, la mafia sentitamente ringrazia per l’iniziativa referendaria, che mira a consentire ai suoi sodali il reinserimento nell’apparato amministrativo del Paese. È da notare che Il quesito referendario non ha niente a che vedere con la generalità dei cittadini: riguarda solo politici e mafiosi.

Il secondo quesito chiede di togliere dai motivi che autorizzano la custodia cautelare il “pericolo di reiterazione del medesimo reato”. Può sembrare un quesito assurdo: ma perché mai il pericolo di reiterazione non dovrebbe essere preso in considerazione? Perché mai la norma che si vuole abrogare non consentirebbe una “giustizia giusta”? Qualunque leghista, se informato sul quesito, risponderebbe che no, non vorrebbe abrogare questa legge, che in qualche modo ti difende da quella delinquenza comune per la quale si invoca persino il ricorso alle armi.

Il perché lo si scopre leggendo l’ultimo pezzettino della norma da abrogare: “nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti”. E già: anche questo quesito è stato pensato per la “casta”.

Il terzo quesito, si dice, vuole la separazione tra carriera inquirente e carriera giudicante dei magistrati. Qui ho avuto una vera e propria crisi mentale. Se il primo quesito occupa tre righe, questo ne occupa 58. Le ho lette tutte e non ci ho capito gran che. Troppi i rimandi e i “limitatamente” che mi hanno fatto pensare ai discorsi dell’Azzeccagarbugli. Di una sola cosa sono certo: che questo benedetto passaggio delle carriere ha già un sacco di limitazioni e impedimenti, e non può mai avvenire nello stesso luogo o regione. Due osservazioni. La prima: il quesito è così tanto farcito di tecnicismi da risultare incomprensibile a un essere umano di media cultura (ma Salvini l’avrà capito?). Mi ha molto sorpreso, perciò, che la Corte Costituzionale lo abbia ammesso: si può votare su un quesito quasi incomprensibile? La seconda: ma siamo certi che la qualità della giustizia dipenda dall’impedire il passaggio di alcuni magistrati da un ruolo a un altro in una diversa regione e in casi molto limitati?

Il quarto quesito è davvero interessante. Si chiede che avvocati e docenti universitari possano partecipare con diritto di voto ai Consigli giudiziari, organismi territoriali per la valutazione sull’operato dei magistrati.

Finalmente gli avvocati potranno promuovere (o almeno provare a farlo) i magistrati più favorevoli a loro e, ovviamente, ai loro clienti. Mi chiedo solo come si possa avere la faccia tosta di proporlo come quesito referendario.

Lo scopo del quinto quesito è abolire l’obbligo per un magistrato che voglia essere eletto nel consiglio superiore della magistratura di presentare dalle 25 alle 50 firme di sostegno alla candidatura. Questo mi piace, nel senso che un magistrato dovrebbe essere votato per quello che vale, non per la corrente cui aderisce.

In conclusione, mi sembra che stiamo assistendo a una manovra politica complessa, che poco ha a che vedere con il miglioramento della giurisdizione. Io non sono un giurista, ma non serve una cultura specifica per comprendere che i temi referendari non possono incidere sulla durata dei processi, sulla certezza del diritto o sulla congruità delle pene. Nessun sì e nessun no incideranno sulla possibilità di avere più colpevoli dietro le sbarre e meno innocenti sotto processo: perché, alla fin fine, di questo dovrebbe trattarsi.

E infatti gli obiettivi dei promotori sono diversi.

Il primo è portare a casa qualche aiutino sul piano giudiziario per quella larga corrente interpartitica (o dovrei dire transpartitica?) che proprio non riesce a rinunciare a delinquere. E non esagero dicendo “larga”. Se fosse piccola sarebbe già stata eliminata, e nessuno metterebbe in dubbio la legge Severino o la carcerazione preventiva per il rischio di reiterazione del reato di finanziamento illecito. Certamente rischiano di perdere, ma tentar non nuoce e, si sa, provarci sempre è una tentazione inevitabile pur di non dover cambiare stile di vita.

Il secondo fronte è tutto interno al centrodestra: Fratelli d’Italia è d’accordo solo in parte, e cerca di mantenere una posizione… patriottica e moderatamente giustizialista. E, si sa, tra Lega e FI è guerra all’ultimo voto.

Il terzo fronte è contrastare la possibilità di un centro sinistra allargato alle prossime elezioni. Ma qui il referendum ha già vinto alla grande: Calenda, Renzi e +Europa stanno decisamente con questa destra sovranista e omofoba, più o meno legata a potenze straniere poco presentabili, non ancora affrancata da tenaci, se pur limitate, radici fasciste.

di Cesare Pirozzi

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