Sia in Russia che in Afghanistan le donne hanno avuto il coraggio di farsi sentire

Dopo oltre tre mesi dall’invasione dell’Ucraina manca ancora un vero segnale a favore del cessate il fuoco. L’unico rallentamento delle ostilità che si profila al momento riguarda la ripresa del trasporto via mare di grano ammucchiato nei container ucraini, per evitare che marcisca innescando una carestia che non farebbe che aggiungere altre devastazioni ad un contesto già di per sé drammatico. La destinazione di parte del grano verso la Siria, paese amico di Putin, potrebbe contribuire ad aprire uno spiraglio.

Intanto continua il war-game televisivo 24 ore su 24 proprio sulla guerra, una nuova infodemia a canali unificati che ha sostituito quella precedente riguardante la pandemia.

Si è passati dalla tv generalista alla tv monotematica.

Così, in questo panorama, passano sotto silenzio notizie che meriterebbero molta più attenzione e riflessione per il grande pubblico. Ci riferiamo ad esempio alla manifestazione di alcune decine di donne afghane che sabato 28 maggio hanno sfidato a Kabul il regime dei talebani invocando per strada pane, lavoro, libertà e il diritto all’istruzione, dando prova di un coraggio davvero straordinario. Alcune con il volto coperto, secondo quanto imposto dalle restrizioni del regime fondamentalista tornato al potere ad agosto, hanno marciato per centinaia di metri gridando: “L’istruzione è un mio diritto, riaprite le scuole”. A nulla è valso che miliziani talebani in abiti civili sequestrassero i loro cellulari per impedire la diffusione di immagini della protesta. Grazie a fonti giornalistiche locali la notizia è trapelata e ha fatto il giro del mondo.

Dopo la protesta di Marina Ovsyannikova, la giornalista che è apparsa a sorpresa davanti alle telecamere nello studio del più importante canale televisivo russo reggendo un cartello che condannava la guerra di invasione, ancora una volta sono state delle donne a sfidare il potere costituito.

La condizione femminile in Afghanistan è riprecipitata nel buio medievale dell’oscurantismo talebano. Già il 10 maggio scorso a Kabul alcune donne avevano protestato contro l’obbligo, imposto sempre dal regime del capo talebano Hibatullah Akhundzada, di coprire integralmente corpo e viso in pubblico e di restare a casa se non hanno un lavoro importante da svolgere fuori.

Le donne hanno sfilato per le strade della capitale, molte a volto scoperto e hanno gridato: “Giustizia, giustizia” mostrando cartelli con la scritta: “Il burqa non è il nostro hijab”, riferendosi al velo che a differenza del burqa non nasconde integralmente viso e corpo delle donne.

Una di queste donne, Saira Sama Alimyar ha detto all’agenzia di stampa Askanews: “Vogliamo vivere come esseri viventi, creature nobili, non come prigioniere in un angolo della casa mentre i nostri mariti vanno a mendicare cibo. Tutti i nostri slogan sono basati su valori islamici e in accordo con i valori culturali del popolo afghano, non contro l’Islam”.

Non sono state né le prime né tanto meno le uniche manifestazioni di protesta contro il regime di Akhundzada: a dicembre la polizia non aveva esitato a sparare per disperderle mentre protestavano in strada.

Come donne occidentali tutte dovremmo impegnarci ad aiutare le afghane per non lasciarle sole a sfidare i dettami medievali del regime che le opprime.

Tra le organizzazioni italiane che operano in Afghanistan e per le donne afghane ci sono Pangea Onlus e Nove Onlus. A livello internazionale sono attive Women for Women International e Afghanaid, un’associazione britannica specializzata da 40 anni nell’aiutare famiglie povere nelle zone più remote del paese. In Afghanistan, Rukshana Media è un’agenzia di notizie che prende il nome da una ragazza lapidata a morte dai talebani, mentre Women for Afghan Women – secondo quanto dichiara sul proprio sito – è la più grande associazione di donne in Afghanistan che organizza raccolte di donazioni.

E’ solo un’idea, prendiamo contatti, facciamo arrivare la nostra voce, la nostra solidarietà, il nostro grido, i nostri abbracci oltre che aiuti a queste donne così fortemente coraggiose da non temere di sfidare il regime fondamentalista talebano. Chiediamo anche noi insieme a loro che venga riconosciuto il rispetto dei più elementari diritti della persona. E facciamo in modo che questo grido arrivi forte ai governi di tutto il mondo perché noi siamo tutto il mondo.

di Stefania Lastoria 

Print Friendly, PDF & Email