Bruno Neri, calciatore partigiano

Bruno Neri si rifiutò di fare il saluto fascista il 10 settembre 1931 alla inaugurazione dello stadio di Firenze (l’attuale Franchi, all’epoca dedicato allo squadrista fiorentino Giovanni Berta). Si vede bene nella foto, Bruno Neri è l’unico con il braccio non alzato.

Un professionista esemplare, colto e raffinato. Giocò nella nazionale di Paola e Meazza. Ma soprattutto fu comandante partigiano. Il comandante “Berni” morto all’età di 34 anni, il 10 luglio 1944 in uno scontro a fuoco con i nazifascisti nei pressi di Gamogna, a due passi da Marradi, città del poeta Dino Campana. Fu il più noto degli sportivi impegnati nella Resistenza.

Nato a Faenza nel 1910, inizia a giocare al calcio da bambino, a soli 14 anni gioca con la squadra della sua città. A 19 anni viene comprato dalla Fiorentina per 10 mila lire. Alla presidenza del club viola c’èra il marchese Ridolfi, fascista e squadrista, considerato da Mussolini un buon gerarca.

Neri soffre questa appartenenza ad un club in mano ad uno squadrista. Ma in campo è sempre uno dei migliori. Si merita le lodi della stampa. Ma la sua sofferenza contro il fascismo è lampante. Non la nasconde anzi in ogni momento esprime la sua contrarietà al regime.

Bruno Neri è un ragazzo sensibile, particolare, attento alla cultura, lettore accanito di libri e di poesie. Frequenta musei e pinacoteche. Coltiva amicizie con giornalisti e scrittori. In campo si impegna al massimo. Vince il campionato e il club passa alla serie A, la stampa scrive che il merito è di Bruno Neri. Il 25 ottobre del 1936 viene convocato in Nazionale per Italia-Svizzera. Pozzo convoca Neri anche per Italia-Germania. L’anno successivo passa al Torino. Tra una squadra e l’altra, Neri continua gli studi, si diploma e si iscrive alla università. Da gli esami e frequenta giovani artisti che vivono nelle soffitte dei palazzi sul Lungo Po.

A Torino gioca fino al 1940, quando a seguito di una serie di incidenti deve ritirarsi all’età di 30anni. Gioca l’ultima partita a Milano in occasione di Ambrosiana-Torino. Torna nella sua città natale: Faenza. Aveva risparmiato un po’ di denaro. Compra una officina e ci mette a lavorare alcuni amici. Mentre la situazione precipita. Con l’aiuto di suo cugino Virgilio entra nella Resistenza su autorizzazione del CNL. Fonda l’ORI, Organizzazione Resistenza Italiana, con il compito di fare da ponte tra le varie brigate partigiane. Entra nel battaglione Ravenna e nell’ambito della operazione “Zella” provvede di persona a trasportare una radio, con la bicicletta, che farà da centro di informazione per i partigiani.

Il 10 luglio del 1944, Bruno Neri, il comandante “Berni” e il suo amico Vittorio Bellenghi, giocatore di pallacanestro, vanno in avanscoperta per verificare che non vi siano tedeschi sulla strada che stanno costruendo tra Marradi e San Benedetto. Nei pressi del monastero di Gomorra, vicino al cimitero, incontrano una quindicina di tedeschi. Uno scontro impari. Neri e Bellenghi sparano. Sparano. Ma i tedeschi sono in troppi. Loro sono solo due. Una tempesta di fuoco. Mitragliatori e fucili. Per il comandante “Berni” e per il suo compagno non c’è speranza. Cadono sotto il fuoco nazifascista. Muore così Bruno Neri, il solo che non aveva alzato il braccio per fare il saluto fascista alla inaugurazione dello stadio di Firenze. Muore il calciatore partigiano, che non aveva rinnegato le sue origini, i suoi valori e fino all’ultimo si è comportato nel rispetto dei suoi ideali antifascisti di libertà, uguaglianza e fraternità.

di Claudio Caldarelli 

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