Harakiri di Draghi

Draghi ha affondato da sé il vascello di cui era al comando. Secondo la Costituzione “il Governo deve avere la fiducia delle due Camere” (art. 94). La Costituzione non richiede la maggioranza assoluta, per la validità della fiducia. Il Governo ha l’obbligo di dimettersi solo se il Parlamento approva una mozione di sfiducia oppure se respinge un provvedimento sul quale il Governo ha posto la fiducia. Così scrive Domenico Gallo, magistrato, presidente di Corte di Cassazione, su Volere la Luna.

Molti Governi sono caduti, si sono dimessi, per un voto di sfiducia, oppure si sono dimessi preventivamente in vista e per evitare un voto di sfiducia. Non era mai accaduto prima, nella storia della Repubblica, che un Presidente del Consiglio rassegnasse le dimissioni dopo aver ottenuto un voto di fiducia approvato a maggioranza assoluta al Senato (172 a favore e solo 39 contrari).

Eppure proprio è successo proprio questo. Draghi si è dimesso dopo aver ottenuto la fiducia, fregandomene della situazione drammatica del Paese. Ora tutti parlano di responsabilità, di grave crisi economica, di impegni internazionali, ma allora perché Draghi, il nonno d’Italia, prestato alla politica, non è rimasto al suo posto, continuando a governare avendo la maggioranza in Parlamento. Questo ci fa pensare che sotto ci sia qualcosa di più complesso che ancora nessuno dice. Draghi, ha drammatizzato il dissenso dei 5stelle, che non hanno partecipato al voto, come se fosse un delitto di lesa maestà. Ancora Gallo, in realtà dietro il dissenso espresso in forma morbida, si nascondevano questioni politiche reali che attenevano alla questione sociale, alla riconversione ecologica, all’invio di altre armi all’Ucraina.

Dopo che il Presidente della Repubblica ha respinto le dimissioni e rinviato Draghi in Parlamento, è iniziato in can can mediatico nei confronti di Conte e dei 5stelle, accusati di ogni tipo di nefandezze, e appelli a Draghi a rimanere, al suo senso di responsabilità. Il 20 luglio è stato il giorno della verità: Draghi si è presentato al Parlamento con un discorso da divinità offesa, deciso a crocifiggere il dissenso dei 5stelle e ottenere la sottomissione di tutte le componenti di questa maggioranza di destra, centro e sinistra (ora ci dicono che consegneremo il Governo alle destre, ma le destre erano al Governo, Salvini, Berlusconi, Calenda, Renzi, Letta, insomma non è che sono proprio di sinistra). Ha cercato di invertire i ruoli e le regole della democrazia. In altre parole non era il Parlamento che doveva rinnovare la fiducia al Presidente, ma erano i parlamentari che dovevano guadagnarsi la sua fiducia sottomettendosi al sovrano senza nulla eccepire con l’obbedienza cieca alla sua politica. Introducendo un elemento di autoritarismo nella vita politica che non si concilia con la dialettica democratica. Gli elementi più inquietanti, scrive Gallo, riguardano la posizione internazionale. Ma tutti sappiamo che la posizione internazionale in realtà sposa supinamente la subalternità europea alla Nato e agli USA. Ma gli interessi europei sono diversi da quelli americani. Noi vogliamo la Pace ai confini. Gli USA vogliono vendere armi. La subalternità agli USA tradisce gli interessi europei. Draghi non è un europeista convinto ma piuttosto un autorevole terminale della NATO nel sistema politico italiano. I continui richiami a inviare armi e non solo.

La presenza di Draghi al Governo è considerata dagli USA e dalla NATO una garanzia irrinunciabile per mantenere la fedeltà assoluta del nostro paese agli indirizzi sconsiderati della NATO, che a Madrid ha effettuato una scelta strategica di rilancio della guerra fredda e calda (Ucraina) difficile da far accettare ai popoli europei. Per questo serve Draghi, per mantenere la subalternità alle politiche scellerate della NATO asservite agli USA, chiamate, per indorare la pillola “fedeltà atlantica”. Forte del consenso internazionale, il sovrano Draghi, è stato tradito dal suo orgoglio, ha trasformato in tragedia il dissenso di una parte della sua maggioranza e ha compiuto il gesto di arroganza di dimettersi pur avendo ottenuto la maggioranza assoluta in Senato. È tornato in Senato per bastonare i dissenzienti e ottenere una nuova incoronazione trionfale. In questo modo è caduto nella trappola che gli ha teso il centrodestra e che non si sarebbe mai aspettato. La festa del ritorno di Draghi è stata rovinata dalla Lega che ha chiesto un Governo “pienamente rinnovato” cioè con nuovi ministri, con esclusione dei 5stelle, manifestando in questo modo il dissenso con il Presidente per condizionarne la navigazione. Fino all’imprevisto esito finale che ha visto Lega e Forza Italia disertare il voto col risultato che nella seconda votazione sulla fiducia, i si sono scesi da 172 a 95. Così è finito il Governo dei migliori, con un harakiri.

di Claudio Caldarelli

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