La canzone romana

Giorni e notti di insopportabile callaccia, ma la lettura del libro La canzone romana, di Elena Bonelli è stata davvero rinfrescante. Ma non rinfrescante nel senso de ‘na spruzzata, ‘na botta e via! Rinfrescante drentro, che t’arimane pe’ l’ossa. Pagine piene di intrecci, passaggi sconosciuti tra una canzone, un compositore, un autore dei versi, una voce e l’altra tra le tante che hanno intessuto questa storia. Passaggi, intrecci, intrichi di vicoli musicali che svelano l’anima, il pensiero, il costume di una città. Ossia che svelano a noi stessi zone inconsce o appena percepite che indissolubilmente, nel bene e nel male, ci cuciono le budella a quelle della città.

Da Ettore Petrolini al Califfo, Franco Califano, a Pier Paolo Pasolini, da Antonello Venditti a Gigi Proietti, Nino Manfredi; da Luca Barbarossa, a Renato Zero, Claudio Baglioni; da Ennio Moricone, ad Armando Trovajoli, al Colle del Fomento, a Mannarino, ad Assalti Frontali, alla stessa Elena Bonelli. L’autrice è stata definita ambasciatrice della canzone romana nel mondo, con tanto di incarichi istituzionali, e prestigiosi riconoscimenti in molti teatri del mondo. È anche autrice di un altro libro, che è stato anche un progetto musicale e un suo spettacolo: Dallo stornello al rap, in cui si dà voce alla Roma di autori e cantanti del terzo millennio.


Le canzoni raccontate, svelate, spiegate, sono una cinquantina. Non è tutto il vasto repertorio della tradizione e della contemporaneità romana, ma sono quelle che hanno più segnato un’epoca della città, lasciato una traccia, un seme, e fatto germogliare nuove canzoni sulla loro scia. Basta scorrere l’indice del libro, e anche saltare di fiore in fiore, di canzone in canzone, seguendo il proprio impulso, per ritrovare la loro bellezza e profondità. Leggere le pagine dedicate a esse e riascoltare in rete, anche nelle diverse versioni musicali e voci che le hanno nel tempo interpretate, si presenta come una vera e propria avventurosa riscoperta di Roma.

Elena Bonelli pone la data del 24 giugno 1891, Festa di San Giovanni, come inizio della sua storia canora. Un’osteria dalle parti della Basilica in Laterano, indice un concorso a premi per la migliore canzone romana. Quell’anno vince Le Streghe, che era poi il tema stesso della Festa. Nella notte tra il 23 e il 24 giugno, infatti, si diceva che si incontrassero le streghe, e per esse si ballava, si cantava, si folleggiava. Così i migliori compositori e poeti della città – ma presto anche da fuori – cominciarono a tirare i tessuti più pregiati tra musica e versi, gettando le basi di un vero e proprio genere.

Affacciate Nunziata, Nina si voi dormite, Chitarra Romana, Tanto pe’ canta’, Il Valzer della toppa, Roma Capoccia, Lella (E te lo vojo di’ che so’ stato io), Nun je dà retta Roma, e tutti gli altri titoli che arrivano fino a oggi, e che si ha il piacere di scoprire, insieme ai sorprendenti retroscena e connessioni tematiche attraverso cui ci conduce l’autrice.

Scorrono e si intrecciano diversi temi, musicali, caratteriali che l’autrice fa uscire bene dall’ombra delle note e delle rime. Due di questi temi si mostrano particolarmente inseparabili tra loro. Quello della città come madre – Mamma Roma –, e quello della nostalgia. In fondo ognuno di noi conserva la memoria viva della nascita della sua coscienza ossia del suo stupore a Roma, indipendentemente dal tempo e dal luogo della nascita biologica. E all’atto di quello stupore originario rimane legato, lo riporta sempre al presente, tanto più se disin/cantato. Nel fare questo, però, come dimostrano molte canzoni citate nel libro, quell’origine la riportano davvero dal sottosuolo del ricordo alla superficie della loro pelle emozionale, esistenziale.

A via de la Lungara ce sta ‘n gradino, chi nun salisce quelo nun è romano, nun è romano e né tresteverino”, si diceva una volta a Roma. A via della Lungara, proprio a ridosso der fiume bojaccia cantata nel Barcarolo Romano, c’è il vecchio carcere di Regina Coeli, e gli scalini da salire per entrare ar Coeli, in realtà, sono tre. Per nascita o per adozione, pure se strusci tutti i santi giorni i sampietrini e l’asfalto di Roma, se non leggi questo libro non puoi sapere quanto e come sei romano.

Al libro e all’autrice dedico questi miei versi su un altro protagonista della canzone romana, il Tevere.

Mentre n’angiola dipinge

‘Ncavaliere che sorte

Da fora ‘nmuro de secoli

E de fumo, du’ puttarelli

‘Ntrecciati alli scalini

Pittano sbaciucchi doci

Ar fiume bojaccia

De ‘nfamità e de storia:

“Nun ce trascinerà

Te giuro amore mio

Alla foce puro a noi

Della sua immensa gloria”.

 

*Foto di Alessandra Cagnazzo

Angeli sul Tevere

William Kentridge, Ponte Sisto, Roma


di Riccardo Tavani



 

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