Nel libro “La potenza femminista” Verónica Gago racconta la battaglia delle donne nel mondo e in Argentina

Verónica Gago è una ricercatrice e docente all’Università di Buenos Aires nonché tra le voci di spicco del femminismo internazionale. Fa parte del movimento Ni Una Menos e con il suo ultimo lavoro racconta, fra l’altro, la nascita e lo sviluppo dello ‘sciopero femminista’, nato fra i confini argentini nell’ottobre 2016 come risposta al femminicidio di Lucía Pérez.

Ci dice: “Il corpo delle donne è ancora considerato un terreno da conquistare. Ce lo ricorda quello che sta succedendo negli Stati Uniti dove una reazione conservatrice si è organizzata per frenare il femminismo”.

Nel libro La potenza femminista, tradotto e pubblicato in Italia nel 2022 dalla casa editrice indipendente Le Capovolte, analizza teorie e pratiche femministe e la genesi dei movimenti di protesta nati in Argentina che poi si sono diffusi anche al di fuori dell’America Latina.

Un testo fondamentale per comprendere la connessione e la potenza delle lotte antipatriarcali nel mondo. Un’analisi che parte dall’esperienza di piazza dei movimenti radicali e si addentra nelle teorie femministe e marxiste per approfondire le tematiche legate al nostro presente: lo sciopero femminista come lente sulla realtà, processo in divenire e strumento di lotta; l’intreccio tra la violenza finanziaria e di genere; il corpo come campo di battaglia; il valore dell’assemblea come dispositivo situato di intelligenza collettiva, il nesso tra genere, razza e classe. Negli ultimi anni la marea transfemminista ha riempito le strade del mondo, dall’Argentina all’Italia, dalla Polonia al Cile, connettendo lotte territoriali e la volontà di contrastare il modello neoliberale e la controffensiva conservatrice.

Verónica Gago racconta: “La mia storia inizia in Argentina nell’ottobre 2016 come risposta al femminicidio di Lucía Pérez (la ragazza, 16enne, era stata torturata, stuprata e uccisa da due uomini). È un appello all’organizzazione posto in un’assemblea, un momento in cui interviene un elemento di immaginazione contro la violenza. Negli anni è diventato un esercizio politico che ha permesso di parlare di violenza sulle donne, non limitandosi agli abusi fisici. Questa pratica ha inoltre favorito una discussione sul lavoro e la precarietà, sui salari e sui servizi di assistenza, perché ha coinvolto diverse tipologie di lavoratrici: ha unito da chi ha un lavoro stabile a chi porta avanti un lavoro di cura e domestico. Ci ha messo in una posizione di lotta, levandoci di dosso la condizione di vittime in cui ci hanno sempre voluto intrappolare. Dal 2017 lo “sciopero femminista” ha raggiunto una dimensione internazionale. Anche se nato in Argentina, si è diffuso rapidamente in altri Paesi latinoamericani, è arrivato tra le donne migranti negli Stati Uniti, in Europa e in Italia. È diventato una pratica del rifiuto delle violenze e un esercizio del desiderio di organizzazione e mobilitazione”.

Verónica Gago nel libro parla spesso di “desiderio” come di una caratteristica della mobilitazione delle donne, perché il desiderio è una potenza molto importante, è un’apertura alle possibilità, è qualcosa che si costruisce progressivamente. Introduce nuovi modi di comprendere i corpi, crea dinamiche di discussione, destabilizza l’ordine patriarcale e supera i binarismi classici.

Il femminismo rende politico il desiderio, lo rende desiderio di cambiare tutto.

Va anche ricordato che in Argentina nel dicembre 2020, il Senato approva la legge che rende legale l’interruzione di gravidanza mentre fino ad allora era possibile abortire solo in caso di stupro o se la salute della donna era in pericolo. Eppure quel risultato considerato impossibile è stato raggiunto, grazie al ruolo della campagna per il diritto all’aborto legale, sicuro e gratuito.
Una battaglia durata 15 anni e che ha coinvolto settori diversi tra loro, come i sindacati e le organizzazioni di base.

Questa mobilitazione ha fatto sì che si sia iniziato a parlare di aborto in luoghi in cui prima non se ne era mai discusso: nelle scuole, nelle organizzazioni contadine, nei quartieri popolari e più poveri, tra le popolazioni indigene. La campagna per l’aborto ha portato a discutere sulla sessualità, il desiderio, come sperimentare altri legami affettivi. La pressione esercitata dalle generazioni più giovani è stata fondamentale e, insieme a quella proveniente dalla strada, ha permesso di ottenere il risultato finale. Il fazzoletto verde, il pañuelo, ha sintetizzato e dato una identità al movimento. È diventato un simbolo.

Eppure negli Stati Uniti la Corte suprema ha abolito la sentenza Roe vs Wade con cui nel 1973 si legalizzava l’aborto nel Paese. Ci si chiede, giustamente, come tutto questo è stato possibile.

Verónica Gago espone il suo pensiero: “Stiamo vedendo in modo chiaro come i diritti non si conquistano mai in modo definitivo. I momenti di crisi sono quelli in cui tali diritti vengono messi in discussione e in cui si torna indietro, si regredisce. Negli Stati Uniti è in corso una reazione conservatrice che sta sferrando un attacco contro il corpo delle donne considerandolo un terreno da conquistare. La proposta di sostenere e aiutare chi decide di abortire è una buona idea ma non è sufficiente. Credo che quanto successo in Argentina, in Colombia e in Cile possa indicare la strada per capire come organizzarsi anche negli Usa. Visto che a pagarne le conseguenze saranno le donne più povere, le migranti e chi vive in condizioni di marginalità, è necessario ricollegare l’aborto a una questione di classe. In Argentina ciò ha consentito di organizzare un dibattito pubblico e di legare la questione dell’aborto anche al lavoro e alla tutela delle risorse naturali. Sono spunti utili perché permettono di affrontare l’aborto non come una questione individuale ma collettiva”.

Tuttavia è necessario chiarire che l’elemento comune non è la violenza, l’elemento comune è prodotto dalla messa in discussione trasversale della violenza stessa.

Tracciare le connessioni tra diverse forme di abusi ci offre una prospettiva condivisa che è sia specifica sia in espansione, critica ma non paralizzante, capace di intrecciare le diverse esperienze. Mappare le forme di violenza sulla base della loro connessione organica, senza perdere di vista la singolarità della produzione dei nodi in cui si intrecciano, ci permette di fare qualcosa in più: produrre un linguaggio che va oltre la categorizzazione delle donne come vittime.

E in questo Verónica Gago, restituisce una visione articolata che rifiuta la logica della vittimizzazione per scrivere nuove pagine di protagonismo sociale, con il desiderio di cambiare tutto.

di Stefania Lastoria

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