Cine-pillole anti canna: del gas

In Viaggio. Bel doc tra aerei, terre e sogni di un Pontefice. Trentasette viaggi, cinquantatré paesi visitati, altrettante tappe di una Via Crucis, ossia via tra i temi più cruciali, drammatici e anche tragici del presente. Viaggi riflettuti, progettati a lungo prima che il Papa li intraprendesse. Gianfranco Rosi conferma la sua grande sensibilità di documentarista pluripremiato, cogliendo la morsa di sofferenza che attanagliava Papa Francesco mentre attraversava scenari umani e ambientali devastati da guerra, sfruttamento, miseria, disperazione. Per questo il suo abbraccio, la sua parola a quelle genti doloranti cerca innanzitutto di restituire innanzitutto la dignità della speranza e persino del sogno. Durissimo il suo discorso davanti al Congresso Usa contro la logica del denaro e la fabbricazione, la vendita, il traffico delle armi. Il regista mette insieme immagini anche di repertorio vaticane a quelle dei suoi film. La sproporzione, però, tra la gravità della croce e quella del mondo violentato non ne esce attenuata, anzi. Per questo il Papa non si tira indietro nel criticare anche sé stesso, come fa a proposito di una risposta sbagliata a una giornalista che gli chiedeva conto di un vescovo pedofilo. Stupenda la scena degli abbracci e dei baci tra Francesco e le singole persone di una comunità latinoamericana, con il tenue sottofondo di Besame mucho.
 
Siccità. E il cinema campa! Roma è sotto la morsa infernale di una siccità che prosciuga completamente la gola delle persone e il fiume Tevere, riducendolo a una lingua di deserto infuocata e maleodorante. La temperatura sale anche tra gli strati popolari sempre più inferociti per l’accaparramento di riserve idriche praticato da alberghi e ville di lusso che non rinunciano a piscine, spa e trattamenti termali. Soprattutto, però, questo scenario è il pretesto per ri-narrare – a trance di sketch intrecciati – italiche vicende umane simili a tante altre già raccontate dal nostro cinema, anche se qui non banalmente rivisitate. Spicca quella di un carcerato, interpretato da Silvio Orlando, che si ritrova suo malgrado fuori di Rebibbia. Più che la situazione di divorziato del suo personaggio, si distingue poi su tutte l’interpretazione di Valerio Mastandrea. Per la natura stessa del racconto, il finale non può che essere in qualche modo positivo. Per non farlo, però, sembrare troppo sdolcinato si doveva far crepare almeno un personaggio, a mo’ di capro espiatorio, agnello sacrificale. Guarda caso, chi è? Una donna! Per la loro attitudine i film di Virzì non fanno compiere mai decisivi passi in avanti all’arte cinematografica. Gli incassi, però, non mancano, anzi! E il cinema non può che giovarsene, facendo magari rotolare qualche soldo in più anche verso possibilità più alte.
 
Anna Frank e il diario segreto. Originale grafic novel per ricordarla evitando l’effetto santino. Nel racconto prende corpo materiale Kitty, l’amica immaginaria cui Anna rivolge le pagine del suo celebre diario. Lo ragazza, però, assume aspetto fisico visibile solo quando ha in mano quel diario e se si trova nella Casa Museo di Amsterdam in cui è custodito. La casa, infatti, è quella in si è nascosta la famiglia Frank, prima di essere scoperta e deportata nei campi di sterminio nazisti. Fuori di lì è invisibile, non appare. Ossia: il personaggio di Kitty è un vero e proprio alter ego di Anna. Il regista israeliano Ari Folman – i cui nonni furono ugualmente deportati – , proprio per rendere sempre viva e attuale quella tragica vicenda storica, alterna passato e presente, attraverso le pagine del diario di Anna e la ricerca di Kitty nella Amsterdam – e di ogni altro luogo – di oggi. In questo il film intende rivolgersi direttamente anche agli adolescenti e alle scuole del loro vivo presente.
 
Dante. Dolente. Giovanni Boccaccio riceve l’incarico dal governo di Firenze di rintracciare la figlia di Dante Alighieri, per consegnarle una somma di denaro, al fine di compensarla delle ingiustizie commesse dalla città contro il Poeta. Ci sono opere letterarie e vite di grandi personaggi che è difficile, quando non impossibile ridurre a un film di un’ora e mezza. La vicenda esistenziale e poetica di Dante Alighieri, per le diverse complessità che presenta, è tra queste imprese proibitive. Pupi Avati ci ha provato per rendere omaggio al sommo poeta e padre della lingua italiana. Per farlo ha dovuto scegliere un taglio tematico-narrativo particolare. Ha traguardato la vita di Dante attraverso la lente della sofferenza, ossia della condizione prevalente dell’esperienza umana. Chi ha saputo svelare vette così vertiginosamente divine dell’arte poetica, ha sofferto come e anche più di tanti suoi simili. Così come Cristo, il figlio di Dio, in relazione all’intera umanità. Di qui il rintocco dolente che risuona lungo tutto il film. Lo stesso Boccaccio è dolorante e ha entrambe le mani fasciate, per gli strascichi lasciati sul suo corpo dalla peste che ha colpito Firenze. Ci sarebbe solo da sussurrare che Dante è stato anche al centro di un gruppo di giovani poeti che ha gioiosamente rivoluzionarono lingua e poesia del loro tempo, oltre che un grande studioso e filosofo. Il regista ha comunque trovato tra l’Umbria, il Lazio e Ravenna i luoghi ancora incontaminati dalla modernità, per cornice scabra, essenziale in sintonia con il tema narrativo da lui scelto.
 
La notte del 12. Interessante polar francese. “Polar” sta per policier-noir. Un’intera squadra di poliziotti ricerca ossessivamente per anni l’assassino di una ragazza bruciata viva. Noir, qui non solo in quanto genere cinematografico, ma perché prevalentemente d’atmosfera notturna, perturbante.  Il tema è quello del femminicidio, della violenza sulle donne, del se l’è cercata. Difficile scoprire il colpevole, perché, in realtà, potrebbe essere, anzi è ogni maschio. Una situazione simile era stata già narrata nel 2003 dal coreano Bong Joon-ho con il suo Memorie di un assassino. Buone interpretazioni di Anouk Grinberg, la giudice, e di Bastien Bouillon, Yohan, il capo della squadra investigativa.
 
Moonage Daydream. Vorticoso biopic sul Duca Bianco. Quasi due ore e mezza di film per quarant’anni di immagini tratte dall’archivio privato dello stesso David Bowie e nel 2017 messe dalla sua famiglia a disposizione del regista Brett Morgan. Materiale audio e video in parte rimasterizzato e restaurato, ma di cui in parte si percepisce anche l’età analogica. Non ricostruzione lineare, ma flusso iconico-sonoro magmatico, ellittico, spiraliforme, avvolgente, stordente. D’altronde come altro è possibile rivivere Bowie?
 
Tiziano. L’impero del colore. Grande affresco documentario su uno dei geni assoluti della pittura d’ogni tempo. La Nexo Film torna con uno dei suoi docufilm che ormai da anni propone sull’arte e sui grandi artisti di varie epoche. Questa volta è di scena Tiziano Vecelio, che nel 1500, scendendo dalle amate montagne del Cadore, conquista con la sua pittura prima Venezia, poi via via le altre corti italiane ed europee. Le tecniche di ripresa di questa serie di film ci fanno ormai sempre più entrare dentro il tessuto, la grana stessa delle campiture di colore nei quadri mostrati. Esperti, storici dell’arte, direttori di musei, artisti restituiscono dettagliatamente la forza dei colori, particolarmente del rosso in Tiziano, raccontando anche i vari aspetti della sua vita. Uno degli artisti chiamati a parlarne è qui Jeff Koons, il pittore più strapagato al mondo e vero imperatore dell’aureo mercato dell’arte contemporanea. Sarà anche per questo che nel film appaiono anche insoliti toni glamour.
 
Mona Lisa and the Blood Moon. Mélange di diversi generi in una folle favola lunare. Una luna rosso sangue incombe sul cielo di New Orleans, mandando influssi strani sulla città. Una ragazza asiatica, Mona Lisa, riesce a fuggire dalla clinica psichiatrica in cui è richiusa grazie a poteri speciali che si ritrova addosso. Un ragazzo della notte, una spogliarellista di pole dance, il figlio adolescente di questa diventano il suo nuovo mondo. Un poliziotto sciancato, però, la cerca, le sta addosso, la sta riprendendo per rispedirla là dentro. Tutto si svolge fluidamente, a tratti con notevole suspense, ma senza un vero senso, semplicemente con una grande capacità di narrazione e d’immagine da parte della regista iraniana-americana Ana Lily Amirpour. Sospeso fino alla fine tra fiaba liberatoria e ritorno alla cattività del reale, il film non dimentica la brutalità della violenza contro le donne nelle notti lunari o illuni delle nostre metropoli.
 
Everyting, everywhere, all at once. L’uragano metaverso si è già abbattuto sul cinema. Un marito, sua moglie e il padre di lei in carrozzella sono convocati negli uffici dell’Agenzia delle Entrate americana. Sono di origine cinese e titolari di una vecchia lavanderia di quartiere. La figlia si è appena fidanzata con una ragazza messicana. Una minacciosa  funzionaria delle Entrate contesta loro una serie di spese messa in detrazione per un coacervo di attrezzature e attività contraddittorie tra di loro e che nulla hanno a che fare che l’attività del negozio. E qui siamo già a una premessa del meta, o multiverso. Il marito – esperto delle ultimissime e più avanzate app del web –infila alla moglie due auricolari wi-fi le dice di seguire certe sue istruzione. Lei si trova totalmente inghiottita dal multiverso. Ossia dentro dimensioni della realtà universale, nelle quali lei è altro da sé, possiede inaspettate qualità e capacità. Tra di esse le arti marziali asiatiche. Il film diventa allora un ammasso di situazioni collidenti, uno scatafascio rutilante di scontri, rovesciamenti, colpi di scena nell’abisso delle possibilità universali parallele. Il metaverso, prima ancora di prendere totalmente possesso del web, con questo film ha già sconvolto il cinema. Con questa nuova dimensione della rete la realtà e ognuno dentro di essa saranno una molteplicità simultanea: tutto non sarà più come prima. I generi – dal kung fu al cappa e spada giapponese, all’animazione, all’horror, allo sci-fi, al sentimentale, si avviluppano uno nell’altro, senza soluzione di spazio e di tempo. E senza badare troppo alle vette artistiche e stilistiche. Ossia l’everything, everywhere, alla at once, ogni cosa, ovunque, tutto in una volta del titolo. Tutto quello che potremmo alternativamente essere, però, non può che concretarsi in quello che siamo qui e ora. E così anche il finale sembra – quasi a farci digerire meglio lo sconvolgimento –farci uscire dopo la furibonda centrifuga dal cestello di una delle macchine di quella vecchia lavanderia cinese.

di Riccardo Tavani

Print Friendly, PDF & Email