Due gemellini morti su un barchino

Due gemellini, una femminuccia ed un maschietto, di appena un mese, sottopeso, disidratati, senza latte, senza riparo, sotto il sole cocente del Mediterraneo, sono morti su un barchino al largo di Lampedusa. Sono morti tra il lamento del mare che assorbiva il pianto della madre, impotente e disperata nel vedere i suoi due figli, nati qualche giorno prima sulle coste della Tunisia. Già malati, prima di nascere. La madre cercava aiuto. Voleva portarli in Italia per farli curare. Ma sono morti prima. Nel viaggio senza speranza. Nel viaggio della morte. Nessuno li voleva accogliere. Nessuno gli ha aperto le braccia.

Sono stati recuperati, dalla guardia costiera, insieme ad altre 58 persone, di cui 28 uomini, 17 donne e 13 bambini, di cui due morti di stenti. La madre dei gemellini era fuggita dalla Guinea, era incinta, voleva partorire in un luogo dove i figli potevano avere una speranza. Ma una speranza, quei piccoli gemellini, non l’avrebbero mai avuta. Nessuno si era preso cura della madre. Nessuno aveva aiutato quella donna. Nessuno. Era sola. Era sola con il suo pancione enorme, dove dentro “navigavano” due gemellini. Era una donna. Il suo prezzo da pagare era più alto, in termini di soldi, di violenze subite, di emarginazione. Il suo prezzo da pagare era la vita dei suoi due figli, prima ancora che nascessero.

Il dramma di una madre che sente morire i suoi figli, prima ancora che nascano, è indicibile. È una dramma che solo una donna-madre può percepire. È un dramma che ti spezza in due, che ti piega e non ti fa rialzare. Un dramma che tutti conosciamo, ma che non facciamo nulla per evitarlo. Così, la madre rimane sola, con due gemellini in grembo e quando partorisce, nel deserto di Tunisi, non ha niente per curarli. Non ha niente da dargli. Non ha niente, perché non aveva niente. Un dramma nel dramma. Riesce a salire su un barchino, con altre 58 persone. Spera di farcela. Porta i suoi gemellini, una femminuccia e un maschietto, avvolti in un telo colorato, legato alla sua schiena. Un fagotto, con dentro niente da mangiare. Niente da bere. Un fagotto stretto forte alla sua schiena, con dentro due bambini, di meno di un mese. Erano sotto peso. Pesavano poco meno di 1,3 kg e 2 kg. Li teneva stretti, avvolti per proteggerli, sentiva il loro respiro, difficoltoso, quasi un rantolo. Sentiva il loro piccolo cuoricino che pulsava, veloce, come quello di tutti i bambini. Li sentiva come parte viva della sua esistenza. Li sentiva e sentiva che li stava perdendo.

La traversata è stata lunga. Il barchino oscillava, in balia delle onde. Erano in troppi. Il motore arrancava. Sul pianale del barchino si stava stretti, plagiati. Lei cercava di non essere schiacciata, proteggeva i suoi bambini dalla calca sopra un barchino in cui si era in troppi. Ognuno pensava a se. Ognuno aggrappato alla speranza di non cadere in mare. Ognuno con la sua speranza di arrivare in un luogo che non li vuole anzi li ricaccia in mare.

Avvolti nel telo colorato, legati alle spalle della madre, i gemellini di poco meno di un mese smettono di respirare. Con un rantolo soffocato. La madre avverte ciò che accadde. Ma non c’è spazio per girarsi. Non c’è spazio per prenderli in braccio. Non c’è spazio per due gemellini di meno di un mese, su un barchino con 58 persone a bordo, alla deriva. Non c’è una nave inviata in soccorso. Non c’è una nave della Europa che li soccorra perché l’Europa non li vuole. L’Europa non vuole due gemellini di poco meno di un mese, sotto peso e denutriti. Non li vuole neanche l’Italia. Così, muoiono, avvolti nel loro telo colorato, legato alle spalle della madre, due gemellini, una femminuccia e un maschietto. La madre, li sente morire, ma non può prenderli in braccio. Non può accarezzarli, mentre muoiono. Non può guardarli negli occhi, i suoi due figli, hai quali voleva dare una speranza. Muoiono, tra il caos di 58 persone troppo strette sul pianale di un barchino alla deriva. Muoiono. Muoiono e nessuno se ne accorge. Solo la madre, bloccata, stretta, che non può prenderli in braccio e accarezzarli, li sente morire. E piange. In silenzio, piange. Piange con un lamento simile al lamento del mare.

Claudio Caldarelli

Print Friendly, PDF & Email