La barca della democrazia s’è schiantata su se stessa

Nuovo eppure già vecchio nasce il governo Meloni. Nuovo per il doppio sfondamento del fatidico tetto di cristallo. Doppiamente infranto, perché non ha sfondato soltanto quello che impediva alle donne di assurgere a una delle due cariche al vertice dello Stato, ossia la Presidenza della Repubblica e quella del Consiglio dei Ministri. Ma ha sfondato anche quello che nel nostro paese impediva alla destra d’origine fascista di egemonizzare e perciò capeggiare, guidare direttamente il Governo. 

Vecchio, però, perché l’esecutivo è composto di ben undici esponenti su ventiquattro – quasi la metà, dunque – dell’ultimo governo Berlusconi dimessosi nel 2011, ossia di un’epoca già da tempo sepolta. Solo sei sono le donne, inoltre, lo formano. La provenienza regionale prevalente nell’intera compagine, poi, è quella del Nord. L’età media è di sessanta anni. La più giovane con i suoi 45 anni è proprio il, la Presidente. C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico, è l’incipit della poesia di Giovanni Pascoli L’aquilone, del 1897. Alla stessa stregua, come le viole pascoliane, risbocciano, anticamente nuovi, strascichi giudiziari e conflitti d’interesse ministeriali e sotto-ministeriali.

Non dobbiamo, però, guardare tale realtà con arcigno, diffidente ciglio politico-moralistico. No, la dobbiamo assumere come l’apparire – ora totalmente scoperto – di qualcosa che era da tempo già attivamente presente, pulsante sotto il più sottile strato del precedente assetto governativo e istituzionale. La crisi della politica, della democrazia, infatti, è più di qualche anno che è in atto, apparendo anche nella lucida coscienza e produzione letteraria di molti pensatori contemporanei.

La democrazia è la modalità che precipuamente connota l’agire politico nella modernità occidentale. Essa, infatti, è il mezzo storicamente conquistato, affermato dall’Occidente, allo scopo di far avanzare al suo interno le condizioni di vita – materiali e spirituali – del demos, della maggioranza del popolo, della popolazione che vive, studia, lavora, edifica civiltà in uno Stato, o nazione, o paese.  Scopo, finalità politica – tanto ideale quanto pratica – e mezzo, strumento per avvicinarsi sempre più alla piena realizzazione di quel fine sono strettamente legati.

Ogni mezzo, dal semplice utensile quotidiano, al più tecnicamente complesso, però, è destinato al consumo, al logoramento dovuto al suo prolungato uso. Un’automobile, una barca, un treno, un aereo, li definiamo appunto mezzi di trasporto, ossia strumenti sottomessi allo scopo di realizzare un trasporto. Proprio per il continuativo, quotidiano uso, cui li sottoponiamo, essi non possono però che consumarsi, logorarsi. Venendo meno il mezzo anche la finalità del trasporto cui esso doveva strumentalmente servire non può più essere realizzata. Necessita l’approntamento di un nuovo mezzo se non si vuole restare a terra, o farsela a piedi, a nuoto.

Mezzo e scopo costituiscono una relazione, una inscindibile polarità. Se il mezzo, lo strumento è usato in maniera impropria, distorta non può che aumentare l’effetto del suo logoramento. Se si esegue in continuazione la manutenzione o la riparazione del motore di una barca, di un elicottero in maniera impropria, distorsiva, non solo si aumenta la consunzione di quel mezzo di trasporto, ma si allontana anche il raggiungimento della finalità del trasporto.

Così l’Occidente ha usato la democrazia soprattutto per garantire gli interessi economici e politici del profitto capitalista. Lo scopo di promuovere l’avanzamento delle condizioni di vita e la giustizia sociale dell’intero demos, invece, è rimasta per aspetti decisivi solo una vuota dichiarazione retorica. Il proclamato ricorso valoriale e istituzionale alla democrazia, inoltre, è rimasto confinato solo dentro, all’interno dello spazio storico e geografico occidentale. Fuori di esso sono state razziate terre, risorse, energie umane; compressi – quando non violentemente negati e cancellati – i basilari diritti democratici. Anzi, allo scopo della permanenza strategica dei propri interessi, si sono anche usate o direttamente finanziate, instaurare dittature e regimi autoritari. La stessa cosa è stata fatta e continua a essere fatta nei confronti di quel fuori, che invece è un dentro, costituito dall’ambiente naturale.

Lo scopo dei vecchi Stati monarchici non era certo quello del progresso economico, sociale, culturale del demos. Essi, anzi, utilizzavano il mezzo dell’assolutismo politico unicamente allo scopo di mantenere, aumentare la ricchezza e il potere nobiliare. Così anche le moderne dittature e teocrazie. Esse sono apparati strumentali atti a imporre, con la negazione violenta dei diritti politici fondamentali, un rigido ordine di potere al servizio di oligarchie, cleri, ceti privilegiati.

Così, nell’era della consunzione per consumo (distorto) della democrazia, tornano a germogliare dal sottosuolo della civiltà le radici mai completamente essiccate dell’autoritarismo politico. Le vecchie piante che da esse crescono si incrociano, si avviluppano, a tratti soffocano quelle scorrettamente irrorate della democrazia. Nuove configurazioni statali che prendono il nome di democratura, crasi linguistica che fonde i vecchi termini e concetti di democrazia e dittatura. Neo-configurazione istituzionale che è accentuata da una sempre più ascendente e dominante potenza: quella della tecno-scienza. Soprattutto quest’ultima non può – per la sua intima logica interna – che aggirare, scavalcare forma e sostanza della democrazia.

Il funzionamento vitale della democrazia prevede il pieno riconoscimento istituzionale dell’opposizione, ossia della minoranza parlamentare che controlla l’operato della maggioranza, opponendosi alle sue scelte, decisioni e provvedimenti legislativi. Lo fa anche proponendo scelte politiche e sociali alternative. Nella neo-configurazione della democratura, però, quali vecchie forme di opposizione sono ancora possibili? O non sono state anch’esse consunte con l’uso e l’abuso dello strumento di cui fanno parte integrante? Ed è possibile pensarne, approntarne di inedite, più adatte alla mutazione epocale in atto? La risposta non è facile, ma è indubbio che esse non possono che maturare da un diverso sguardo sull’intera civiltà. Uno sguardo che disveli le propaggini di una Costituzione che rechi finalmente giustizia esistenziale proprio a quegli irrisolti aspetti di crisi cruciale della convivenza umana e ambientale.

Riccardo Tavani

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