Un pianeta al pronto soccorso

Cop27, il vertice mondiale sulla crisi ambientale e climatica, si è svolto quest’anno in Egitto, a Sharm el-Sheikh, sotto la presidenza del Paese ospitante. Alla sua conclusione il 20 novembre 2022, il Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guiterres, ha dichiarato: “Il nostro pianeta è ancora al pronto soccorso. Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questo è un problema che non è stato affrontato. Cop27 si è conclusa con molti compiti e poco tempo”.

Un ben strano pronto soccorso, però. In esso, infatti, quest’anno hanno operato ben 636 lobbisti, rappresentanti delle multinazionali dell’estrazione e commercializzazione dei combustibili fossili. Per non parlare dei Paesi, i cui introiti e Pil annuo sono costituiti in prevalenza da tali fonti. È come se un centro trasfusionale di sangue umano pullulasse di vampiri in camice bianco. Non solo, ma è come se una così consistente infestazione venisse considerata non talmente legittima, da incoraggiarne addirittura l’incremento. Cop27, infatti, ha registrato un aumento del 25% di tale presenza rispetto a Cop26. Se consideriamo che Cop28, poi, il prossimo anno si svolgerà a Dubai, allora il Pronto Soccorso sarà per intero quella lussuosissima Transilvania per vampiri del petrolio che sono gli Emirati Arabi Uniti.

Le premesse a tale annunciata egemonia vampiro-fossile, d’altronde, le ha già gettate la cointeressata presidenza egiziana. Il suo Ministro degli Esteri, Sameh Shoukry, ha intessuto e favorito il controllo e la sostanziale egemonia lobbistica sull’intero vertice. L’Egitto, infatti, ha già impostato da almeno un quinquennio la propria economia su un considerevole sviluppo della capacità sia di raffinazione, sia di produzione. Il suo Ministero del Petrolio ha posto a 10 miliardi di dollari la quota delle esportazioni petrolifere nel 2022. L’Italia, attraverso l’Eni, partecipa a questo sforzo con attività sia di prospezione, che di estrazione e raffinazione su una vasta area del territorio egiziano, come nel super giacimento di Zohr.

Cop27, però, è stato soprattutto uno scontro tra Sud e Nord del mondo, tra tentativo di riscatto e continuazione dello sfruttamento, tra richiesta di giustizia e proclamazione dell’ingiustizia, con la inevitabile vittoria di quest’ultima, considerate le premesse del vertice. Nel noto gioco abusivo delle tre carte, l’Egitto stresso aveva fatto apparire la briscola del loss and damage, ossia di un congruo rimborso per i danni ambientali e climatici subiti dai Paesi più vulnerabili, a causa della rapina delle loro risorse non solo naturali. Paesi in larga parte africani che a causa di questi danni vedono minacciata l’esistenza stessa delle loro popolazioni, spinte a un biblico abbandono migratorio di loro terre e cieli. Il fondo risarcitorio sembra elargito più a finalità anti-migratorie che ad autentico riconoscimento di giustizia esistenziale. A esso dovrebbero contribuire i Paesi industrializzati, loro istituzioni pubbliche e fondazioni finanziare, bancarie private. Dovrebbero, perché il suo ammontare e i paesi aventi diritto sono rimasti nel limbo di una non casuale mancata definizione. È solo stata istituita una commissione incaricata di occuparsene e di riferirne il prossimo anno a Dubai. Non c’era d’altronde da dubitarne: il profitto non sopporta la minima sospensione della sua irrefrenabile voracità. Tutto il resto: sicurezza, giustizia, Non-Inferno in Terra – può, anzi, deve attendere, o farsi direttamente benedire. A Dubai, in Transilvania araba, se e come, il prossimo anno ne ridi-sputeranno.

Cop27, d’altronde, già si è collocata su questa traiettoria, non avendo adottato nessuna misura di attenuazione delle emissioni inquinanti. A certificarlo è la stessa leadership della Commissione Europea, con la presidente Ursula von del Leyen e il vicepresidente Frans Timmermans, nonché della Ministra tedesca degli Esteri, Annalena Baerbock. Timmermans afferma sconsolato: “Siamo a un aumento di 1,2 gradi del riscaldamento e abbiamo visto quali effetti questo stia già provocando. La soluzione non è finanziare un fondo, ma investire le nostre risorse per ridurre drasticamente il rilascio di gas serra nell’atmosfera”.

Una delle motivazioni per non assumere alcuna decisione – ri-blaterando lo stratosferico bla, bla, bla, denunciato da Greta Thunberg – è la crisi causata dall’invasione russa dell’Ucraìna. La crisi energetica e delle materie prime, però, è precedente a tale evento. Annotavamo su questa rubrica: “Componentistica, materie prime, logistica, trasporti, traffici, mercati, snodi commerciali mondiali si stanno bloccando, con uno squilibrio tra domanda e offerta che fa schizzare i prezzi alle stelle”.  La guerra non è la causa della crisi, ma la crisi climatico-ambientale è la causa della guerra. La durata di una guerra non si misura in numero di mesi e di anni, ma in numero di morti seminati da una e dall’altra parte. 

Il Pronto Soccorso in cui abbiamo ricoverato da tempo la Terra è appunto la guerra stessa. Guerra sulla sua superfice, nelle sue acque, nella sua aria e nelle viscere più profonde del sottosuolo. Dai missili, ai droni tecnologicamente più sofisticati siamo tornati a sparare dalle nostre ciminiere  verso l’atmosfera arcaiche cannonate di carbone, il combustibile più inquinante al mondo. Ma non era prevista la sua progressiva riduzione già diversi vertici COP fa?  Siamo invece a un suo vertiginoso aumento in  ogni parte del mondo, Italia compresa.

Ma lo abbiamo drammaticamente visto in questi giorni a Casamicciola cosa significa tentare di rinchiudere dentro il nostro caos ferro-cementizio – vera e propria gabbia di follia esistenziale e manicomiale –  l’immane potenza del pianeta. Il delirio di violenza e tracotanza umana non può che rimanere travolto, abbattuto, fino al tramonto di ogni civiltà e dell’intera specie.

Riccardo Tavani

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