La guerra perenne

È passato quasi un anno da quando la Russia ha iniziato l’invasione dell’Ucraina.

L’ennesimo conflitto, alle cui radici ci sono, come sempre, ragioni economiche e di potenza, e le cui conseguenze di distruzione e morte sono sotto gli occhi di tutti.

Le immagini che scorrono oggi sugli schermi potrebbero essere intercambiabili con quelle di un anno fa, e con quelle relative a tutti i conflitti attualmente in corso. Sono sempre macerie, vecchi, bambini, deboli in generale, affannosamente in lotta per la sopravvivenza. Cadaveri ne mostrano pochi, solo se necessario: la loro vista può scuotere le coscienze, svegliare dal torpore. Tra coloro che non riescono a fuggire, le guerre faranno le loro vittime civili, gli inevitabili “danni collaterali”, come li definiscono i moderni guerrieri.

Gli altri andranno a far parte dei profughi, letteralmente chi cerca scampo, salvezza, le persone che cercano di sfuggire la sicura povertà e fame, la possibile morte. Dall’Ucraina, dal cuore dell’Europa, dai confini di una parte del mondo ricco e sicuro, così come dalla periferia estrema. Quel mondo le cui industrie belliche lucrano sulla guerra, e nel quale essi cercano sicurezza. Così come la cercano i profughi dalle altre decine di guerre che insanguinano il mondo e tra le cui ragioni non sono mai estranee quelle di ordine economico.

Ad essi si uniscono, con la stessa destinazione, i profughi che rischiano analogamente povertà e morte perché cittadini di Paesi i cui regimi autoritari non esitano a marginalizzare ed uccidere gli oppositori, come è drammaticamente dimostrato ogni giorno da ciò che avviene in Turchia, in Egitto e, in questo momento in particolar modo, in Iran dove una ragazza di 14 anni, per aver tolto il velo, prima è stata messa in custodia (leggi galera), e poi trasferita in ospedale. Qui sono state rilevate gravi lacerazioni vaginali ed è morta, per le violenze subite.

Non fa differenza se quel particolare Paese sia governato da un regime autoritario/dittatoriale, in qualsiasi modo si autodefinisca, o in quale blocco politico-militare sia inserito, più o meno organicamente. Nei luoghi in cui gli oppressi, i poveri, coloro che sono privati dei diritti fondamentali, cercano di emanciparsi, di far valere quei diritti, troppe volte solo enunciati, i vari regimi al potere si avvalgono di mezzi e metodologie analoghe: carcere, tortura, assassinio individuale o di massa – poco importa.

Ad aumentare il numero dei profughi si aggiungono i cosiddetti migranti economici, coloro che abbandonano la propria terra, la famiglia, i propri gruppi di appartenenza, alla ricerca di un lavoro e della possibilità di vivere in modi e in luoghi dignitosi. In realtà sono anch’esse persone che cercano scampo da guerre di altra natura, guerre economiche, combattute con mezzi diversi, ma che hanno come effetto finale disoccupazione, povertà, morte per fame, o per malattie, da noi considerate banali o non più esistenti, come le infezioni non curate, invalidità permanenti, ed enormi profitti per chi tira le fila, per chi decide dove e come investire o disinvestire, non hanno importanza le conseguenze.

Infine, da non dimenticare, il grande numero costituito da quanti non hanno neanche la possibilità di cercare scampo, costretti a vivere, meglio sopravvivere, in condizioni indegne come le decine di migliaia di uomini che vivono riciclando a mani nude i rifiuti tecnologici come ad Agbogbloshie, suburbio di Accra capitale del Ghana, oppure a Mbeubeuss periferia di Dakar, capitale del Senegal, o nel golfo del Bengala. In totale sono circa 900 milioni, a cui aggiungerne 260 milioni circa per gli effetti combinati di epidemia e guerra, gli uomini che vivono in condizioni di povertà estrema, cioè con meno di 1,90 dollari al giorno, 57 al mese. Altrettanti soffrono la fame.

A tutto ciò fa da palcoscenico un pianeta che il nostro modo di vivere sta portando lentamente, ma inesorabilmente, se non intervengono delle azioni correttive, al collasso.

Il quadro che queste poche osservazioni offrono è desolante ed è ben noto nella parte di mondo in cui viviamo e che è detentore di molta parte del potere, della ricchezza e anche delle responsabilità della situazione attuale. Siamo informati, a volte troppo e anche con false notizie, e non riusciamo a discernere la realtà della povertà e della guerra, dalla finzione offerta da quella che Gino Strada definì “arma di distrazione di massa”, altri “macchina del consenso”. I mezzi di informazione ci riempiono la testa e le giornate di campionato del mondo di calcio, e, a cose fatte, di tutto il marcio, tangenti e morti sul lavoro, che dietro l’apparenza, festosa e ostentatamente umanitaria, c’è stato. E, come previsto, per le masse dei cinque continenti “l’arma di distrazione” ha funzionato. Non hanno pensato ad altro, agli altri che muoiono di fame e di guerra. Allo stesso scopo ci cullano con l’illusione di poter raggiungere luoghi esotici con favolose crociere su navi da sogno, gran premi automobilistici in città fantastiche, che l’ultimo smart phone prodotto o l’ultimo modello di auto superpotente ci diano quel senso di felicità tanto anelata quanto effimera.

Tutto, per tutti, rigorosamente in comode rate, ipotecando il nostro tempo futuro, la nostra vita. Nello stesso tempo aumentano le spese militari, vengono fatti investimenti (Italia, Gran Bretagna e Giappone, ad esempio) per la progettazione e costruzione di una nuova arma: un aereo da guerra senza pilota. Si potrà uccidere senza correre alcun rischio personale. Ogni sforzo viene profuso affinché venga accettata la situazione presente come normale, e di normalizzazione parlano i nostri governanti, ma soprattutto, come ha chiaramente detto la nostra premier, a non disturbare il manovratore, chi produce ricchezza, profitto, non importa il costo umano e sociale.

Riappropriarsi della capacità di discernere, distinguere, individuare i demoni beneducati, di cui parlava papa Bergoglio due giorni prima dello scorso Natale, e i loro reali obiettivi dalle false promesse. Non farsi irretire, conservare la capacità di giudizio e non accettare come normale la situazione che i vari blocchi politico-militari, i potentati economici, generano: guerra a fuoco dove necessario, altre modalità dove possibile, ma comunque e ovunque, guerra ai poveri e non alle povertà, in nome del profitto.

Dall’inizio del Secondo Conflitto Mondiale ad oggi, questa la guerra perenne che stiamo vivendo e che non può più essere accettata.  

Corrado Venti

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