Dante ideologo della destra italiana?

“So di dire una cosa molto forte, ma penso che il fondatore del pensiero di destra italiano sia Dante Alighieri”. Così si è espresso il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano e devo dire che la sua affermazione non mi ha stupito, anzi era prevedibile vista la lunga militanza del ministro nel MSI-Destra Nazionale.

Sebbene scontata – e vi dirò più avanti perché – l’affermazione è talmente stupida che non meriterebbe commento alcuno se venisse da un privato cittadino. In fondo, si è liberi di avere una cultura superficiale e povera: se certo non è un merito, spesso non è neanche una colpa, per un privato cittadino. Ma dal momento che stiamo parlando dell’attuale ministro “della cultura”, qualche commento tocca farlo, non sia mai che qualcuno ingenuamente gli credesse.

Prima di tutto, direi che l’opera e il pensiero di Dante hanno dato un contributo importante alla cultura italiana tout court, e più in generale alla cultura occidentale, al di sopra e al di là delle connotazioni politiche. Vederci qualcosa di specificamente “di destra” è a dir poco stupido. La storia personale di perseguitato politico, la poetica alta e profonda, la visione religiosa e spirituale, la personalità del sommo Poeta sono patrimonio dell’umanità intera, non del pensiero di una sua piccolissima parte, più o meno politicamente connotata.

Se poi pensiamo alla volontà di Dante, profondamente deluso dalla politica, di porsi al di fuori delle parti (“sì ch’a te fia bello/averti fatta parte per te stesso” gli dice Cacciaguida nel XVII canto del Paradiso), capiamo bene quanto fastidiosa e ingiusta gli apparirebbe l’affermazione del ministro. Chiunque abbia studiato o semplicemente letto Dante, con un minimo di attenzione e senza pregiudizi, capisce bene che quello di Sangiuliano è solo un tentativo maldestro di appropriarsi indebitamente di qualcosa che non appartiene né mai apparterrà a una qualunque singola parte politica, e che Dante non si sarebbe mai sognato di fondare il pensiero di chicchessia. Chi poi Dante lo ha studiato un po’ più approfonditamente sa anche che i suoi messaggi più importanti sono criptati nel senso anagogico del poema, e non hanno niente a che vedere col “pensiero di destra italiano”.

Le idee di Dante sono, comunque, difficilmente collocabili nell’ottica della politica moderna.

Tra parentesi, osservo con piacere che, dopo aver predicato il tramonto delle ideologie e l’inattualità della suddivisione tra destra e sinistra, la politica sta riscoprendo che le ideologie – come ad esempio “il pensiero di destra” – esistono ancora e che parlare di destra (o di sinistra, evidentemente) è del tutto al passo con i tempi. 

Peccato che le ideologie di oggi abbiano poco a che vedere con il nostro Poeta, al tempo del quale le idee e gli obiettivi della politica erano ben lontani da ciò che ora si chiama destra o sinistra. Resta perciò la curiosità di sapere in che cosa Sangiuliano riconosce il fondamento dantesco del suo, diciamo così, pensiero. 

Per esempio, Dante era sostenitore dell’Impero: di un’entità sovranazionale che secondo lui aveva la capacità di portare pace e giustizia, in opposizione alla rissosità guerrafondaia dei nascenti stati nazionali e dei vari principati e potentati dell’epoca. Nulla di paragonabile alla destra moderna che, al contrario, privilegia l’idea di nazione, più o meno tendente al nazionalismo (cioè al primato della propria rispetto alle altre patrie) o al sovranismo (cioè al primato degli interessi nazionali rispetto a quelli comuni). Ai nostri tempi ciò che maggiormente assomiglia all’Impero di Dante è l’Europa auspicata dal socialista Spinelli e dai suoi amici antifascisti: un’Europa che non sia semplice somma di nazioni diverse, ma vera Federazione sovranazionale, con una difesa e una politica estera unica. Paradossalmente, la rinuncia alla sovranità nazionale, che Spinelli sognava come garanzia di pace e di giustizia è quel che più assomiglia all’idea dantesca di Impero.

A meno che la destra italiana non pensi a un impero di tipo medievale, ereditario, assolutistico e monocratico (“la sua costruzione politica”, secondo Sangiuliano?).

Dante era un fiero oppositore del papato, all’epoca dominato da interessi politico-economici e colluso con tutti i potentati che si opponevano all’Impero. Mi chiedo se avrebbe approvato maggiormente l’idea liberale di “libera chiesa in libero stato”, da lui propugnata con parole inevitabilmente diverse, o l’idea di concordato, come realizzato dalla destra italiana con i Patti Lateranensi, che hanno consentito al papato di ricostruire un potere politico-finanziario e temporale.

Certo non era un “conservatore”, come si dice oggi. Difficilmente lo avrebbero esiliato e perseguitato se non fosse stato fieramente in opposizione a molti potentati della sua epoca. A me sembrerebbe piuttosto un “progressista”, pur con la riserva, ripeto, che gli schemi politici del suo secolo fossero troppo diversi da quelli attuali per fare un’omologazione semplicistica… alla Sangiuliano.

Ma Sangiuliano afferma che vede in Dante il fondatore del pensiero di destra, perché ritiene che la sua “visione dell’umano, della persona, delle realzioni…. siano profondamente di destra”.

E questo è davvero interessante.

È ovvio che Dante era un uomo dei suoi tempi; la sua formazione culturale si basava per un verso sui classici (Virgilio era “lo suo maestro” principale), per l’altra sulla dottrina e sulla teologia cristiana del medioevo. Alla sua epoca il lavoro era organizzato in confraternite o corporazioni di arti e mestieri. L’economia non conosceva società per azioni, holding, titoli di stato. Il divorzio era semplicemente impensabile e l’omosessualità un peccato mortale. La sua “visione dell’umano… eccetera” per molti aspetti era profondamente medievale.

Mi chiedo, allora, se Sangiuliano volesse dire che la “visione” di destra è medievale, o se invece faccia riferimento agli aspetti universali e sovra storici del pensiero dantesco; ma questi non sono né di destra né di sinistra, essendo appunto universali e sovra storici.

Ma, come dicevo all’inizio, la dichiarazione del ministro non sorprende, anzi è scontata, perché ha interessanti precedenti politici.

«Nel 1921, per i 600 anni della morte di Dante, gli squadristi di Balbo andarono a Ravenna, pregarono sulla tomba di Dante. Poi cominciarono a picchiare i nemici, a chiudere le sedi dei sindacati. Ecco, forse il culto del Dante di destra nasce dall’uso che se ne è fatto, più che dalla sua vita». Così ci ricorda lo storico della letteratura Giulio Ferroni sul Corriere del 14 gennaio.

In effetti il fascismo adottò Dante come padre della patria e in particolare della patria fascista. Sull’argomento non mancano le dotte pubblicazioni, ma basterà ricordare che nella prima strofa di Giovinezza, l’inno ufficiale del partito fascista, si legge: “la vision dell’Alighieri/oggi brilla in tutti i cuor”.

Come si vede, la strumentalizzazione del pensiero dantesco a scopi di parte non è per niente nuova.  E, senza volerlo, Sangiuliano ha ribadito ancora una volta che c’è continuità tra il ventennio fascista, il partito di destra MSI fondato dai reduci della Repubblica di Salò e il partito di destra FdI. Non è solo la fiammella tricolore a testimoniarlo, ma anche il pensiero, la mentalità: paradossalmente, la dichiarazione di Sangiuliano svela un coté nostalgico, più che dantesco.

D’altronde, il povero Sangiuliano non ha tutte le colpe. Mi riferisco al fatto che il ministero di cui è titolare non si chiama più “dei beni culturali e ambientali” come nel recente passato, ma “della cultura”, come se il governo dovesse o potesse dirigerla o in qualche modo controllarla, la cultura. Forse è stato tratto in inganno dalla nuova denominazione ed ha creduto di essere a capo del vecchio ministero della “cultura popolare”: il famigerato minculpop, inventore di quei fogli che ancor oggi si chiamano “veline”, con cui il regime fascista suggeriva ai giornali che cosa dire o non dire. Quel ministero non aveva, infatti, il compito di curare i beni culturali e ambientali, ma la propaganda del regime.  

Sangiuliano, nonostante si dichiari “un cultore della storia”, forse non ci ha pensato.

Cesare Pirozzi   

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