Striscia lo scisma

Sul valore teologico-filosofico dell’ex Papa Benedetto XVI il giudizio è contrastante, così come lo è sulla sua visione del destino della Chiesa nell’epoca presente e in quella futura. Per Massimo Cacciari è stato una grande e luminosa mente per tutto l’Occidente. Il controverso filosofo rosso-bruno, ossia marx-reazionario, Diego Fusaro si è fatto addirittura seguace e difensore strenuo del suo pensiero e della sua linea d’azione politico-pastorale. Ossia: se per Marx “La religione è l’oppio dei popoli” si potrebbe affermare che “Ratzinger è la cocaina di Diego Fusaro”.

Ecco invece quello che scrive Umberto Eco: “Non credo che Benedetto XVI sia un grande filosofo, né un grande teologo, anche se è generalmente rappresentato come tale. Le sue polemiche, la sua lotta contro il relativismo sono, a mio avviso, semplicemente grossolane, e nemmeno uno studente della scuola d’obbligo le formulerebbe come lui. La sua formazione è estremamente debole. In sei mesi, potrei organizzare io stesso un seminario sul tema del relativismo. Si può stare certi che alla fine presenterei almeno venti posizioni differenti. Metterle tutte insieme come fa papa Benedetto XVI, come se ci fosse una posizione unitaria, è, per me, estremamente naif”. (Berliner Zeitung e La Stampa, 19 settembre 2011).

Per Diego Fusaro, invece, è proprio la posizione ratzingeriana contro il relativismo liquido globalista la sacra cifra del vertice unitario di fede e ragione toccato dall’ex Pontefice Benedetto XVI e in lui fuso. Di qui l’attacco sempre più aperto a Papa Francesco, accusato di essere un pontefice abusivo, golpista, eletto in modo formalmente e sostanzialmente non solo illegittimo, ma satanico. Obiettivo: farlo dimettere, decadere prima della fine naturale del suo ufficio. Questo perché, quel 28 febbraio 2013, Benedetto XVI non si sarebbe mai dimesso dal cosiddetto munus petrino, ossia dall’ufficio, dalla carica pontificale propria di Pietro, ma solo dal ministerium, ossia dal suo esercizio. E si sarebbe dimesso per impossibilità a esercitarlo. Impossibilitato da cosa o da chi? Soprattutto dagli stessi cardinali che hanno successivamente eletto il cardinale Jose Bergoglio quale papa, mentre non potevano, perché il papa in carica a tutti gli effetti rimaneva lui, Benedetto XVI. Andrea Cionci, sul quotidiano Libero, sostiene addirittura che sia stato lo stesso Ratzinger a tendere la raffinatissima trappola dottrinale di spingere i cardinali a farsi mettere in stato di impedimento, proprio eleggendo Bergoglio illegittimamente. Lo stato di sede pontificale impedita, infatti, sarebbe l’unica situazione estrema contemplata dal diritto canonico per la separazione – altrimenti non ammissibile in nessun altro modo – tra munus, ufficio, e suo esercizio, ministerium.  

A parte il fatto che la sede impedita è prevista per casi quali l’imprigionamento di un pontefice, c’è poi la circostanza singolarissima di un papa che ricorrerebbe all’espediente – per di più preparato in maniera superlativamente raffinata – di trarre in inganno i propri cardinali, non svelando loro apertamente cosa c’è dietro le proprie, improvvise  dimissioni. Improvvise, perché mai prima discusse e neanche loro accennate. La giustificazione sarebbe che Benedetto XVI fu costretto a dimettesti da un complotto della cosiddetta Mafia di San Gallo. Un gruppo, questo, di alti prelati progressisti, che si riunivano nel Canton San Gallo in Svizzera. Esso fu fondato e guidato, fino alla sua morte nel 2012, dal cardinale Carlo Maria Martini. Gruppo, però, che nel 2005 avrebbe complottato per impedire l’elezione di Ratzinger a favore – già allora – proprio di Bergoglio.

Si rende, dunque, legittimo, anzi, necessario per gli antiprogressisti resistenti ratzingeriani mescolare la proclamata purezza di Dio con la maleodorante torbidezza delle trame e tarme vaticane. Dio tirato per la giacchetta, non per illuminare il conclave elettivo, ma per ottenebrarlo, e incastrarlo, delegittimarlo per intero con l’elezione di un antipapa golpista. Solo, però, che così più che petrino, ci troveremmo di fronte a un munus e ministerium latrina. E più che pontifex, ossia facitore, costruttore di ponti, si tratterebbe di un fallacifex, costruttore di diabolici intrighi e fallacie teologiche.

In realtà, l’assalto alle posizioni sociali, progressiste della Chiesa viene da lontano. Si manifesta già con l’elezione nel 1958 di Angelo Roncalli a Papa Giovanni XXIII. Già allora si disse che il conclave in realtà aveva elevato al soglio pontificio il Cardinale Giuseppe Siri. Tanto che questi avrebbe già accettare la carica con il nome di Gregorio XVII. Fu costretto, però, a fare marcia indietro, prima della proclamazione Urbi et Orbi, con pesanti minacce, rivolte sia alla sua persona che all’intero Vaticano. Secondo lo storico ed ex ambasciatore Sergio Romano questa teoria complottista origina dalle alte sfere cattoliche americane, per inficiare sia l’elezione, sia l’indizione, sia le aperture del Concilio Vaticano II. Il centro della propalazione fu il teologo ed esorcista Malachi Martin. Lui affermò di aver appreso direttamente da Satana, nel corso dei suoi numerosissimi esorcismi a persone possedute, che l’apertura modernista, tra cui la Messa non più in latino, ma nelle lingue nazionali, era un suo preciso disegno per smantellare la Chiesa e il regno di Dio sulla Terra. E fu lo stesso Satana – dissero i suoi seguaci – a spingere Martin giù per le scale, procurandogli la morte.

Più o meno questo si dice – non sotterraneamente ma sempre più scopertamente – anche di Bergoglio, descritto ormai come un vero e proprio, non solo antipapa, ma direttamente anti Cristo. Similmente, a finanziare e manovrare la campagna è l’alto, ricco e reazionario clero cattolico americano. E l’ex Papa Benedetto XVI è eletto a sua punta di lancia e vessillo non solo teologico-valoriale, ma di fatto scismatico. Il catto-capitalismo, ossia l’alleanza sempre più stretta tra tradizionalismo cattolico e reazionarismo economico alla Trump domina ormai negli Usa. Esso guida in tutto il mondo una brutale aggressione per costringere non tanto Francesco, quanto l’intera Chiesa a rinunciare alla sua inevitabile, necessaria apertura al mondo. Dietro l’accusa del Teo-conservatissimo ratzingeriano di condurre a un dissolvimento, a un’evaporazione del cristianesimo nella deriva del mondo, si nasconde, però, qualcosa di ben più sostanzioso. Il disperato e disperante tentativo di scongiurare non un generico, quanto un ben determinato tipo di apertura. Quello alla giustizia sociale, ambientale, civile, spirituale.

Non può essere un arroccamento, un impossibile ritorno alla purezza, ai valori, alle pratiche del primo cristianesimo che può salvare questo dall’immane deriva delle epoche. L’era tecno-scientifica segna irrevocabilmente il suo tramonto, come colto lucidamente, struggentemente dallo stesso Ratzinger. L’autenticità del tentativo bergogliano è allora quello di intridere il sottosuolo di tale inevitabile passaggio epocale con l’annuncio di giustizia universale, esistenziale che spetta, e dunque cui non può fare a meno, non può evitare di aspirare, tendere ogni ceratura e aspetto del mondo. L’assillo verto non è così il tramonto del cristianesimo, ma l’aurora di una nuova era – comunque essa si configuri – senza quel suo respiro originario.

Riccardo Tavani

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