Il protagonista assente

Il protagonista è assente. Godot. Il teatro dell’assurdo si riprende la scena al Vascello di Roma, con un lavoro, profondo e tormentato, del regista Theodoros Terzopoulos e cinque attori che superano se stessi in ogni battuta. Aspettando Godot, il tempo dell’attesa sapientemente trasmesso ad un pubblico empaticamente inquieto con i protagonisti. Dal respiro affannato alle apnee respiratorie fino al tormentato tempo dell’attesa di un protagonista assente che non verrà.

Terzopoulos rappresenta, con maestria, il concetto filosofico di esistenza e assurdità che ruota intorno alla condizione umana dell’uomo comune: l’attesa. L’attesa che rimanda al tempo, nella sua quotidianità non vissuta, consumata nel niente del fare niente, nella incapacità di reagire ad una schiavitù volontaria della propria apatia. Diversamente dal servo di Pozzo, Lucky, che è incatenato alla sua condizione in modo forzato, tenuto legato dal suo padrone. Due condizioni, due scelte. Due destini drammatici. Il servo consapevole della sua “non scelta condizione” e l’umanità consapevole della sua “scelta” condizione. Niente accade perché niente deve accadere. Tutto muta  perché tutto resti uguale. Cambia solo la natura intorno. Il salice pingente, l’albero, dove i due protagonisti aspettano Godot da una vita, muta condizione, da morto prende vita, mette le foglie. Ma questo scorrere del tempo è quasi immobile. Un tempo che non esiste perché l’umanità non esiste, anzi, assiste immobile come il suo tempo, alle guerre, alle violenze, alle drammatiche quotidianità fatte di attese. Un tempo fermo nella sua ciclicità, dove nulla accade perché non deve accadere. “Siamo assenti per i presenti” dice Lorenzino il filosofo, parafrasando Beckett. La presenza e l’assenza, due concetti in una unica identità fatta di vuoto e nulla cosmico. Esistenze che si trascinano incapaci di rispondere alle proprie domande sulla esistenza che trasforma in morti viventi nell’inganno che tutto può accadere.

Incapaci di morire perché già morti. Incapaci di suicidarsi perché già suicidati. Incapaci di vivere una vita reale sono ancorati all’assurdo di una vita assente. Solo Lucky cerca con disperazione di richiamare alla realtà una realtà assurda, asfissiante, ciclica che non lascia adito ha speranze e sogni. Tutto viene fagocitato è dimenticato “…non ricordo di avere incontrato nessuno, ieri. Ma domani non ricorderò di aver incontrato nessuno oggi”. Mentre aleggia la domanda: che facciamo ora? Aspettiamo Godot! Così, l’attesa di Vladimiro ed Estragone è la sintesi di tutte le attese di una umanità che corre verso il baratro, che si suicida consapevole di suicidarsi, nella perenne attesa che niente accada.

Il teatro dell’assurdo è l’umanità nella sua assurda concezione della esistenza basata sulla attesa. L’infinità attesa oltre la vita assurda è inutile che ognuno sceglie come quotidiana esistenza:

“E adesso che facciamo? Non lo so. Andiamocene. Non si può. Perché? Aspettiamo Godot. Già, è vero.

Claudio Caldarelli

 

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