Se non uccidi finisci in prigione

“In tempo di pace se uccidi finisci in prigione. In tempo di guerra se non uccidi finisci in prigione”.

Una frase che non ha bisogno di perifrasi quella di Kateryna Lanko, giovane donna ucraina “nonviolenta”, che in questi giorni sta portando in giro per l’Italia, grazie al Movimento Nonviolento, la sua storia di donna che con determinazione e forza testimonia l’amore per la sua terra nell’unica forma realistica e possibile, quella della parola. Quella che ribalta il pensiero unico bellicista, il modello dicotomico amico/nemico, buono/cattivo e cerca nella nonviolenza la strada per ricostruire i diritti e la speranza di tutti.

Non è sola, al suo fianco c’è Darya Berg, attivista russa.

Le loro parole, il loro vissuto, le loro emozioni si intersecano in un unico fiume in piena di dolore e speranza: “Mi fa male pensare che il mio paese sia responsabile di questa invasione e della guerra che da un anno insanguina l’Ucraina. Io posso dire forte che sono contraria alla guerra, ma io sono qui con voi: chi è in Russia ha paura, per se stesso e per la propria famiglia. Quando comincia la guerra tutti iniziano a pensare all’arma migliore per vincerla invece che fermarla”.

In Russia c’è tantissima gente che vuole la pace ma è un pensiero che tale deve rimanere, che non si può esternare né gridare, costretto alla clandestinità, muto, senza suono, parole arrese e perse che fanno male dentro.

Così come in Ucraina le persone davvero vogliono la pace ma c’è in loro un grande dolore, per ciò che hanno visto, per ciò che hanno perso, per chi non è più con loro, per la scia di sangue e distruzione che li ha annientati.

Occhi ciechi, terrorizzati, sgomenti, senza più speranza.

Vite devastate, distrutte nel profondo, quando si vaga senza sapere dove andare, chi cercare e l’ennesima esplosione è solo un lampo in più ad illuminare il niente.

Sarebbe davvero importante gestire e incanalare quel sentimento verso il bene.

Kateryna Lanko parla senza sosta: “A chi vive nei paesi europei chiediamo di far sentire la loro voce di pace, scendere per le strade per non dimenticare i diritti, primo tra tutti quello alla vita, degli ucraini, dei russi e di tutti coloro che in ogni parte del mondo stanno vivendo una guerra. Perché se oggi un ucraino scende in piazza per dire che è contro la guerra, è un traditore ma se lo fate voi è diverso. Voi potete dare a noi quella voce che ci è stata sottratta”.

Un passaggio del loro incontro è dedicato al ruolo delle donne.

Molte supportano gli uomini sperando che tornino e la maggior parte delle donne hanno bisogno che venga loro offerta una visione diversa dell’alternativa “guerra/prigione”, tante credono che l’unica soluzione per amare i propri cari sia sostenere la guerra. Eppure anche gli uomini che vanno al fronte quando tornano, se tornano, hanno capito che è solo una follia senza speranza.

La speranza è solo quella di incontrarsi e camminare insieme, ogni giorno, in molti modi differenti e sempre sulle vie della nonviolenza.

Stefania Lastoria

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