8 marzo. La storia di Marina e di altre donne vittime di violenza fisica ed economica

La coercizione finanziaria non permette a molte donne di allontanarsi dai compagni violenti. E’ indiscusso che i condizionamenti economici, sociali e culturali non favoriscono l’avanzamento dei diritti delle donne e il riconoscimento della violenza, soprattutto se economica.

Parliamo di Marina (nome di fantasia) che quando si sposa vede davanti a sé un futuro roseo: un’unione di intenti familiare e lavorativa. Insieme al marito mette su un’attività di famiglia. Come spesso accade i soldi vengono gestiti da lui, così come le decisioni importanti vengono prese sempre da lui.

Difficile spesso scardinare certi stereotipi culturali.

Intanto arrivano i figli, due maschi e Marina si divide tra la maternità, in carico totalmente a lei e qualche ora di lavoro, nel primo periodo dalla nascita dei figli. Poi ricomincia a lavorare a pieno ritmo e a seguire i bambini che crescono: la scuola, lo sport, il catechismo, le feste. Ma tra le mura domestiche le cose non vanno come sperato.

Il marito diventa  sempre più violento: la sua iniziale gelosia si trasforma in un controllo ossessivo-possessivo: ormai sono iniziati gli schiaffi, le spinte, gli insulti ma ci sono i bambini che hanno bisogno del padre e c’è la famiglia da portare avanti. Anche se Marina volesse andare via dove potrebbe andare senza un lavoro?

Nel tempo i debiti sono aumentati, la casa è stata pignorata e Marina, nonostante sia una donna ormai di una certa età, cerca un lavoro e riesce a trovarlo. Solo allora si decide a chiamare uno sportello antiviolenza, fugge da casa ed entra in protezione presso la Casa Rifugio di Fondazione Pangea.

Quella di Marina è solo una delle storie seguite da Pangea in questi anni e raccontata in vista dell’8 marzo, perché secondo la Fondazione, oggi più che mai è importante parlare di emancipazione anche economica e finanziaria delle donne.

“In tutta Italia esiste un forte radicamento di stereotipi di genere. Ecco perché abbiamo sentito l’esigenza di focalizzarci su questa forma di violenza, perché la questione economica e lavorativa è centrale per le donne, sia per quelle che vivono violenza che per tutte le altre”, afferma Simona Lanzoni, vice presidente di Pangea Onlus. “La violenza economica è una forma di controllo e assoggettamento esercitata dal maltrattante attraverso la privazione dei soldi e delle risorse finanziarie, per togliere alle donne la loro autonomia ed ostacolarle nella costruzione di progetti di vita indipendenti da quelli del partner”, spiega Lanzoni. 

Secondo la Convenzione di Istanbul quella economica è una forma di coercizione e colpisce le donne di ogni età e di ogni ceto sociale, portandole a indebitamento, mancanza di liquidità, costrizione dei consumi, sino agli stenti. La violenza economica è dunque una forma di violenza subdola perché non è sempre facilmente riconoscibile da chi la vive e non porta segni evidenti sul corpo ma lentamente logora le donne, rendendole dipendenti economicamente e psicologicamente. Come può una donna senza soldi e senza lavoro andare via di casa?

Per questo Fondazione Pangea, che da anni promuove l’indipendenza socioeconomica e finanziaria delle donne in Italia come in Afghanistan e in altre zone del mondo, ha dedicato a questa forma di violenza uno sportello ad hoc, lo sportello contro la violenza economica, per aiutare le donne a riconoscerla e ad uscire dal loro indebitamento grazie all’aiuto di professioniste. Pangea offre inoltre alle donne diversi percorsi per diventare economicamente indipendenti.

In primo luogo, attraverso le case di semiautonomia, ovvero delle strutture abitative che rappresentano una fase intermedia tra la casa rifugio e la totale autonomia. In queste case le donne e, se ci sono, i loro figli, possono vivere per un periodo di tempo quando escono dal percorso di protezione ma non hanno ancora le risorse economiche sufficienti per pagarsi un affitto. Pangea così facendo le accompagna verso l’autonomia abitativa ed economica facilitando così l’uscita dalla casa rifugio e dando loro il tempo di cercarsi casa e lavoro.

Sarà difficile conseguire risultati soddisfacenti in termini di uguaglianza di genere finché il tema dell’autonomia economico-finanziaria, dell’occupazione femminile, della violenza maschile non riguarderà alla pari uomini e donne. Ma soprattutto non saremo mai libere in Italia come in altre zone del mondo sino a quando non saremo uguali anche nella società in cui viviamo.

E’ una battaglia difficile che dobbiamo combattere con tutte le nostre forze perché il ricatto della non autosufficienza economica porta le donne a sentirsi prigioniere di se stesse, rassegnate, plagiate da compagni che si approfittano di queste mancanze per passare spesso a violenze che segnano anche il corpo.

Una donna che fatica a trovare un lavoro è principalmente una donna che è stata abbandonata dallo Stato, che non trova politiche incentrate sull’aumento dell’occupazione specie quando, ad una certa età con poca o nessuna esperienza lavorativa, si sente allontanata prima ancora di fare un colloquio. E’ qui che la donna vive la sua “morte psicologica”, fino a ritrarsi dal mondo stesso, assentarsi, appartarsi per non doversi confrontare con altre donne che sono “libere” in tutti i sensi.

Una forma di violenza che non è mai stata presa seriamente in considerazione dai tanti governi che si sono susseguiti e forse la più subdola e dolorosa in assoluto.

Stefania Lastoria

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