La lettera di Spozhmai, la donna afghana che vuole un futuro per i suoi figli

La giovane donna, nascosta in una località segreta dell’Afghanistan, racconta la sua drammatica storia fatta di violenze e soprusi. Poi la fuga e l’incontro con la Ong Nove che la sta proteggendo.

I taleban hanno vietato alle bambine, ragazze e donne di studiare dopo i 12 anni, frequentare l’università, lavorare, persino uscire a passeggiare in un parco e praticare sport. E con l’avvicinarsi della festa della donna è doveroso parlare di queste donne, è necessario tornare a puntare i riflettori su di loro, per non lasciarle sole e dimenticarle del tutto.

Così scrive la sua lettera Spozhmai.

“E’ dalla casa in cui sono nascosta, in un punto che non esiste come me, nell’Afghanistan dei taleban che scrivo questa lettera. Il mio nome è Spozhmai, ho 32 anni, due figli di 10 e 15 anni, due figlie di 11 e 16 anni.

Ho anche due sorelle e due fratelli con cui sono cresciuta. Mio padre era un giornalista, mia madre lavorava per il governo. Abbiamo avuto una bella vita, finché il nostro Paese non è caduto in mano ai taleban: siamo scappati in Iran, io studiavo per diventare medico, ma eravamo troppo poveri. Mi sono dovuta sposare, come tutte le giovani afghane e con mio marito sono tornata nel mio Paese, a Farah, nella sua casa di famiglia.

Lì è iniziato il mio incubo perché suo fratello, quando non c’era, mi insultava e spesso mi picchiava. Mi accusava di indossare abiti indecenti, di non rispettare le tradizioni. Ero sempre stata libera e desideravo fortemente ancora studiare.

Lo facevo di notte, quando tutti dormivano e poi dovevo nascondere i miei libri.

Raccontavo a mio marito di quello che accadeva quando lui non c’era ma il fratello gli giurava che mentivo e tutte le volte che lui ripartiva le violenze ricominciavano, era sempre più irruento, aggressivo, possessivo e rabbioso. Ho imparato ad essere forte, a furia di botte e minacce ho imparato a non desistere.

Qualche mese dopo uno spiraglio di luce: mio marito trovò lavoro in un’altra parte dell’Afghanistan e ci trasferimmo. La vita ricominciava il suo corso, nel mio cuore tornavo a sperare in un futuro diverso. Ma mio marito da lì a poco morì e il fratello si rifece avanti, stavolta con le sue pretese: voleva sposarmi, voleva che le mie figlie – una poco più che bambina – sposassero i suoi figli. Non avevo scelta, dovevo scappare. Di nuovo.

Chiesi aiuto a mio fratello, che mi aiutò ad arrivare a Herat coi piccoli. Il fratello di mio marito impazzì: iniziò a cercarmi ovunque. Infine rapì mio fratello, gli fece chiamare i nostri genitori dicendogli che finché io non mi fossi consegnata l’avrebbe tenuto prigioniero.

E prigioniero lo è ancora, per colpa mia mentre io con il cuore spezzato ho le lacrime che mi inondano il viso. Mi sento in colpa perché ogni giorno scelgo la libertà dei miei figli al posto della sua libertà.

L’unica cosa che mi tiene in vita è il desiderio di salvarli. Tutte le volte che dobbiamo spostarci perché una casa non è più sicura, tutte le volte che chiediamo aiuto perché non abbiamo più cibo di cui nutrirci, mi ripeto che devo resistere perché loro possano costruire il loro futuro e realizzare i loro sogni lontano da qui. La nostra fortuna è aver incontrato la Nove Onlus, un’associazione che sta aiutando moltissimo le donne qui in Afghanistan: loro si occupano di noi, ci proteggono e ci offrono il supporto necessario per sostenere le spese quotidiane.

Assolutamente non voglio che le mie figlie abbiano la stessa vita che ho dovuto vivere io, non voglio che sposino un uomo che non amano, che siano sottoposte a violenze e soprusi.

Voglio che studino perché solo l’educazione e la cultura possono salvare il mondo. Quanto ai miei figli maschi voglio che crescano nel rispetto delle donne, desidero che siano uomini diversi da questi “uomini” indegni di essere chiamati tali, che oggi ci calpestano, ci impediscono di vivere togliendoci ogni diritto e trattandoci da prigioniere.

Voglio per tutti i miei figli un futuro sereno e felice. Voglio tutto ciò che ogni genitore in qualsiasi parte del mondo augura ai propri figli. Devo salvarli e trovare per loro la strada giusta per iniziare a vivere. Vivere realmente”.

Stefania La storia

 

 

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