Cinema e fumo

Ormai una cosa dovrebbe apparire chiara anche al più sprovveduto degli spettatori: un crescente numero di film è prodotto solo per s-merciare tabacco, sigarette, tramite grande o piccolo schermo. La logica del profitto costi quel che costi (in questo caso la salute pubblica) viene incollata sulla nostra retina, introiettata per via subliminale, inconscia fin giù nelle viscere. Per di più ci fanno pagare un biglietto sempre più caro, mentre dovrebbero pagare loro chi liberamente vuole sottoporsi a questo bombardamento pubblicitario forzato.  

E il politically correct, tanto per essere chiari, non c’entra proprio nulla. La storia del cinema è già stata attraversata da questa intromissione del profitto delle multinazionali del tabacco. Esse, infatti, dovettero sborsare cifre stellari per le tante morti e i gravi danni causati agli attori sotto contratto, costretti a mostrarsi anche in pubblico con le sigarette accese. La stessa cosa dovettero fare con comuni consumatori, dato che avevano aggiunto al tabacco anche degli additivi che aumentavano la dipendenza. Per questo c’è stato un lungo periodo in cui le sigarette sono sparite completamente dagli schermi. Oggi, invece, sono tornate in maniera spudoratamente pesante, senza che vi sia alcuna vera esigenza d’immagine narrativa alla loro continua esposizione sullo schermo. Non si può essere servitori di due padroni. O mi stai proponendo un film, o vendendo fumo per conto terzi. Dopodiché ognuno è libero di fare e pensare quello che vuole.

Un’altra cosa è certa: più aumenta la quantità di fumo aspirato e soffiato sullo schermo da attori e attrici, più la scena diventa artificiosa, falsa, essa stessa fumosa. 

Prendiamo il film I passeggeri della notte. Nel primo quarto d’ora già tutti i personaggi hanno acceso e fumato una o più sigarette, vistosamente aperto pacchetti sempre belli pieni, e una sorella lascia in mano una sigaretta accesa al fratello più piccolo. E questa è solo l’overture.

Il film dura circa due ore, ma allo scadere della prima non ce l’ho fatta più, e – cosa incredibile a me e per me stesso – mi sono alzato e sono andato via. Entrato in un’altra sala vedo Rocco Papaleo che in Stonato, dopo una prima scena di sesso mancato per sopraggiunto colpo della strega (e no, là non poteva fumare, sia mai si dovesse collegare fumo-male fisico), appare a tutto schermo con una sigaretta tra le labbra, raggiunge un vicino parapetto davanti al mare e accende. E si continua poi per tutto il film, alternando con fumo di canne. Per non parlare di Toni Servillo che appare fumando in quasi tutte le scene de Il ritorno di casanova, nel quale si giunge a far tirare la pipa allo stesso Bentivoglio in costume settecentesco. 

Andiamo alla commedia cinematografica francese Mon crime – La colpevole sono io, di Françoise Ozon, nel quale non si accende neanche mezza  sigaretta, nonostante la storia e l’ambiente avrebbe potuto consentire di infilarne dappertutto. Non è che sia il genere cinematografico che io prediliga ma quantomeno dimostra che si può fare un film senza doversi sottomettere a quella imposizione economica 

A parte questa e qualche altra rarità, penso che smetterò di andare al cinema, non volendo più trovarmi ancora nella condizione di uscire dalla sala prima della fine del film. 

Ognuno – ripeto – è libero di fumare e farsi affumicare il cervello e la percezione sensoriale dal profitto capitalistico. Io preferisco rinunciare a un’abitudine che coltivo da quando avevo circa sei anni, avendo mio zio, anche con l’aiuto di mio padre, costruito un cinema nella città di provincia in cui sono nato.

Riccardo Tavani 

 

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