Patrick Zaky, sette anni di supplizio

Oggi alla decima udienza a Mansura, città sul delta del Nilo in Egitto, contro Patrick Zaky accusato di aver diffuso false notizie sul governo egiziano, il giudice del processo non si è presentato in aula e il suo sostituto non essendo responsabile del caso ha rinviato l’udienza al 18 luglio. Al ricercatore attivista per i Diritti Umani, dopo ventidue mesi trascorsi in carcere e continue udienze rinviate, è stata nuovamente negata la possibilità di arrivare a giudizio. Il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury, dichiara che si tratta di “disprezzo dei magistrati egiziani per i Diritti Umani” e aggiunge che “siamo di fronte a una persecuzione crudele”.

Sono sette anni di supplizio per il giovane attivista e studente dell’Università Alma Mater Studiorum di Bologna, incarcerato per ventidue mesi, ma ancora sotto processo da sedici.

La precedente udienza di febbraio aveva dato alla sua difesa e al mondo civile una piccola speranza in quanto, se pur con tutte le complessità del caso, si era riusciti ad esporre le proprie ragioni, ma oggi è calata di nuovo l’oscurità sulla vittima innocente di questa ingiusta persecuzione giudiziaria. L’udienza, in mancanza del giudice principale, è durata meno di due minuti, giusto il tempo di consegnare al magistrato sostituto gli atti della difesa.

Che mondo deforme quello in cui va difeso chi difende Diritti Umani…

Ricordiamo in breve la storia di Patrick Zaky. Il dottorando dell’Alma Mater di Bologna è stato arrestato dalle autorità egiziane il 7 febbraio 2020 all’aeroporto del Cairo, al rientro dall’Italia, per alcuni post su Facebook relativi a due anni prima, in cui sosteneva i diritti di tutte le minoranze oppresse. Per tale ragione è stato accusato di essere terrorista, di diffondere notizie false sui social con lo scopo di minare l’ordine sociale e la sicurezza pubblica; è stato accusato inoltre di istigazione alla violenza e di incitamento alla protesta per il rovesciamento dello Stato. Dopo 22 mesi di reclusione, di cui i primi nel famigerato carcere di Tora, sezione Scorpion II, è stato rilasciato l’8 dicembre 2021, da allora però non è mai potuto uscire dall’Egitto e completare gli studi in Italia.

Custodia cautelare, arresto, violenze, capi di accusa, rinvii a giudizio ed altro ancora nei confronti di un uomo che è agli antipodi dal male.

La sua vita e il suo impegno civile narrano infatti una storia fatta di studio e ricerca, battaglie per i diritti umani e civili, perseguimento di Libertà.

La sua passione civica non è avulsa dalle dinamiche storiche e politiche del suo Paese. Patrick ha vissuto in pieno la violenza della rivoluzione egiziana nel 2011 e ha conosciuto la ferocia dei governi che autorizzavano massacri. Dopo la Laurea in Farmacia alla German University del Cairo, nel 2017 in un clima ancora di terrore e paura è entrato a far parte dell’EIPR (Egyptian Initiative for Personal Right) una delle maggiori associazioni egiziane in difesa dei diritti dell’uomo. Grazie al progetto Erasmus Mundus dell’Unione Europea è arrivato poi nel nostro Paese per un master a Bologna in Studi di genere e sulle donne. Ritornato al Cairo però, tre anni fa, per una breve vacanza è iniziato un calvario che ha segnato profondamente la sua vita e ha scosso e mobilitato tantissime istituzioni, le università, le associazioni di volontariato, politici, studenti e comuni cittadini.

Alla vigilia dell’udienza, poi rinviata, di oggi 9 maggio e nelle ore successive per le strade di Bologna è partita una manifestazione organizzata in Piazza Nettuno da Amnesty International a cui hanno partecipato l’Università e il Comune di Bologna, associazioni e artisti. Tutti hanno espresso attraverso cartelloni gialli il bisogno urgente di sostenere il ragazzo ormai simbolo di una generazione, sotto processo presso una Corte della Sicurezza dello Stato Egiziano per reati inesistenti.

Il 16 giugno Patrick compirà 32 anni, a luglio dovrebbe discutere la tesi di Master all’Università di Bologna, ma tra i due anni in cella e le lungaggini processuali è ancora cristallizzato in questa penosa vicenda di violazione dei Diritti Umani

Il CNDDU continua ad esprimere vicinanza e solidarietà verso il giovane attivista che ha speso parte della sua vita a difendere le minoranze calpestate e dimenticate, e in linea con diverse università italiane come quella di Bologna, Teramo, Roma e tante altre che sostengono il diritto allo studio del dottorando egiziano, e accanto ad Amnesty International e alla Regione Emilia Romagna nella persona di Emma Petitti, Presidente dell’Assemblea Legislativa, chiede a tutte le scuole italiane di ogni ordine e grado di aderire a una grande mobilitazione generale per i Diritti Umani di cui ci facciamo portavoce da adesso fino alla vigilia dell’udienza fissata al 18 luglio, affinché la storia di Patrick Zaky possa trascinare tutta l’Europa del diritto comune, la stessa Europa che con il suo progetto HERMES ha permesso al ragazzo di poter studiare e formarsi come tutti gli uomini che anelano alla Libertà.

Per tale ragione il giorno 18 di ogni mese, da maggio a luglio, ricorderemo la storia di Patrick e la data del processo per tenere desta l’attenzione dell’opinione pubblica, sperando davvero che il 18 luglio sia il giorno della definitiva liberazione di questo giovane che non ha commesso alcun reato.

Le scuole che vorranno collaborare alla mobilitazione generale per i Diritti Umani in difesa dell’attivista egiziano potranno inviarci una mail con la scritta:

La nostra scuola tutela i Diritti Umani: Patrick Zaky Libero!”.

Sarà nostra premura bussare a tutte le porte possibili e pubblicare attraverso i comunicati stampa, sul nostro sito e sui canali social l’elenco delle scuole italiane paladine dei diritti dell’uomo.

Prof.ssa Rosa Manco

CNDDU

 

 

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