Solo nel 2021 le donne recatesi al Pronto Soccorso per violenza sono state ben 11.771

L’Istat e il Ministero della Salute, nell’ambito dell’accordo Istat-Ministero della Salute firmato il 20 novembre 2019 per “l’alimentazione della banca dati sulla violenza di genere con i flussi informativi sanitari”, presentano uno studio per approfondire la conoscenza della situazione delle donne vittime di violenza che si rivolgono ai servizi ospedalieri. Per questo motivo il focus delle analisi è sulla violenza di genere subita dalle donne. Nel report vengono analizzati i contenuti informativi relativi agli accessi in Pronto Soccorso rilevati dal Sistema Emur (prestazioni di assistenza sanitaria in emergenza – urgenza) e ai ricoveri ospedalieri, che vengono rilevati con il flusso della scheda di dimissione ospedaliera (Sdo).

Ebbene nel 2021, sono state 11.771 le donne che hanno effettuato un accesso in Pronto Soccorso con indicazione di violenza, l’incidenza è pari a 18,4 per 10.000 accessi complessivi in PS in costante aumento dal 2017, nonostante la generale diminuzione del ricorso alle strutture ospedaliere in conseguenza della pandemia da Covid-19.

Le giovani donne di 18-34 anni sono state le più colpite (8,8 per 10.000), seguite dalle donne adulte di 35-49 anni (7,2 per 10.000).

I tassi di accesso delle straniere sono più del doppio di quelli delle italiane.

“Dopo una sensibile diminuzione di questi ricoveri nel 2020 (-29,9% rispetto al 2019) per le elevate difficoltà di accesso alle strutture ospedaliere durante l’emergenza sanitaria, nel 2021 il recupero è stato più consistente rispetto al totale dei ricoveri ordinari (+12,4% contro +5,6% rispetto al 2020)”, afferma l’Istat.

I tassi di ricovero di donne con indicazione di violenza sono più elevati per le minorenni, sono prossimi alla media per le donne adulte sui 35-49 anni e più bassi dopo i 50 anni di età.

Come già detto i ricoveri in regime ordinario delle donne straniere sono tre volte più elevati di quelli delle italiane, cosa che fa pensare alla cultura di appartenenza, alle tradizioni, alla supremazia dell’uomo specie se provengono da paesi fortemente maschilisti e patriarcali in cui la donna è considerata un oggetto, “qualcosa” che è di proprietà del marito.

E’ difatti innegabile che la disparità di genere sia, in alcuni paesi, molto accentuata e che le donne vivano limitazioni alla libertà personale e discriminazioni giuridiche. Smarcarsi dunque da certe culture ben radicate, è sempre molto difficile se non impossibile pur vivendo in paesi occidentali da anni.

Altro dato interessante è che l’esecutore della violenza è ancora poco presente nei dati raccolti forse anche perché poco raccontate nel dettaglio le violenze subite e spesso camuffate da narrazioni in parte omertose.

Di sicuro troviamo il padre o il patrigno, il partner o consorte, gli “ex” fidanzati o mariti. Considerando anche la tipologia “altri parenti” si può facilmente dedurre che l’ambito familiare sia quello da mettere sotto esame perché più frequentemente indicato dalle vittime.

In tale ambiente infatti le violenze sono salite al 5,2% di casi nel periodo pre-pandemico, in quanto a causa della particolarità della situazione, le misure restrittive, il dover restare forzatamente in casa, tutto ciò ha indotto ad un aumento delle violenze familiari e ad una riduzione di abusi da parte di altri autori esterni alla famiglia.

Altra cosa da sottolineare è che le dimissioni volontarie caratterizzano fortemente i ricoveri con indicazione di violenza e anche in questo caso il fenomeno è sempre più frequente nelle donne straniere (12,2% contro 6,8% nelle donne italiane).

Il timore di ripercussioni e minacce la dice ancora lunga, la certezza che non si è “attenzionate” o “vigilate” dalle stesse forze dell’ordine fa scattare la paura di ritrovarsi nella stessa situazione solo peggiorata.

E infatti le donne con ricoveri per violenza hanno spessissimo ricoveri ripetuti.

Da valutare anche che nei cinque anni che vanno dal 2017-2021, sia per gli accessi al Pronto Soccorso sia per i ricoveri ospedalieri, le diagnosi più frequentemente associate alla violenza sono relative a traumatismi e avvelenamenti (fratture, ferite, contusioni, ustioni e avvelenamenti) oltre ai disturbi mentali (disturbi predominanti dell’emotività, alcuni malesseri e reazioni dell’adattamento, abuso di cannabinoidi, abuso di droghe senza dipendenza, disturbi d’ansia, dissociativi e somatoformi).

Insomma una guerra vera e propria in cui spesso non si riesce a vincere neanche una sola battaglia. Perché troppo spesso le donne sono sole nella loro lotta di sopravvivenza per se stesse e per i propri figli.

E questa è una grande sconfitta della società in cui viviamo, delle istituzioni, di chi dovrebbe agire ma veramente.

Perché le leggi non fatte rispettare e non messe in atto sono un’ulteriore violenza per queste donne, sole e vittime due volte.

Stefania Lastoria

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